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Per un pensiero altro

Addomesticare e proprietà

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero altro 5 gennaio 2022

“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”. “Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.
Certo è stato facile riconoscere il dialogo tra il giovane protagonista e la volpe tratto dal più noto scritto di Antoine de Saint-Exupéry, “Il piccolo Principe”, un successo che si replica nel tempo tra i più piccoli e, forse, ancor di più tra i non più piccoli. Il tema dell’amicizia e dell’amore è probabilmente uno dei fili rossi più apprezzati dell’opera e credo sia interessante soffermarsi a riconsiderarlo ricorrendo al nostro “pensiero altro”. Il piccolo viaggiatore incontra una volpe che gli chiede di addomesticarla e per convincerlo all’impresa ne spiega i vantaggi: “[…] la mia vita sarà come inondata di luce. Conoscerò un rumore di passi diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno fuggire sotto terra. Il tuo mi chiamerà fuori dalla tana, come una musica. […] Per favore… addomesticami! […]
Se tu vuoi un amico, addomesticami! Non posso giocare con te. Non sono addomesticata. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro”. Le argomentazioni della volpe si sviluppano in maniera importante nell’equilibrio del testo chiarendo al giovane attento che addomesticare significa creare dei legami e divenire responsabile di ciò che si è addomesticato e stabilire un reciproco rapporto di dipendenza, “Tu sarai per me unico al mondo. Io sarò per te unica al mondo”.

Il piccolo Principe, evidente allegoria del bambino che impara a fare esperienza del mondo, non è giunto a quell’incontro del tutto sprovvisto di un pregresso anche nella sfera affettiva, ricorda di quanto si è preso cura di una rosa prima di intraprendere il suo viaggio, sa bene che quella è la “sua” rosa, identica a tutte le altre del rosaio eppure assolutamente diversa perché “sua”. Coglie immediatamente il senso delle parole della volpe in quanto le riconosce in sé. “Comincio a capire. C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato” afferma e la volpe gli conferma che proprio di quello si tratta poiché il tempo che lui ha dedicato alla “sua” rosa” l’ha fatta divenire tanto importante. Si riconosce, nel rapporto così tratteggiato, la teoria del lavoro e del valore del prodotto conseguente a quanto il soggetto ne ha investito. Le parole successive della volpe chiariscono il concetto in modo inequivoco: “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comperano dai mercati le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!.” L’argomentare saputo della volpe dettaglia anche le modalità con le quali si deve procedere, una sorta di vademecum della seduzione poiché il confine tra amicizia ed amore è estremamente sottile nel testo. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino”. È splendida l’allegoria dell’autore, il gioco del corteggiamento, il conoscere le mosse proprie e dell’altro, il volersi dare e negare, il desiderio di essere conquistato e di possedere ed anche il rischio che un simile gioco sottintende: “Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza.”

Nulla da eccepire ma forse può essere utile chiedersi: perché addomesticare? Perché l’amore o l’amicizia devono divenire un rapporto, seppure biunivoco, di sudditanza, di dipendenza, di necessità? Mi tornano alla mente le parole di Erich Fromm: “L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo” ma il termine addomesticare non compare assolutamente. Il fatto, poi, che il principe sia maschio e la volpe femmina mi lascia un poco perplesso, così anche la rosa è femmina e, seppure il piccolo afferma di essere stato addomesticato, il ruolo attivo nel rapporto è sicuramente il suo, è lui che investe il proprio tempo mentre la rosa non ha scelta e, a compimento del rapporto, è lei a essere “sua”. Il concetto di proprietà nei confronti di oggetti già fatico ad accettarlo ma mi rendo ben conto che oramai è troppo difficile nella nostra cultura concepire la materialità, il mondo stesso, come qualcosa che abbiamo ricevuto in prestito e che dovremo restituire alla nostra partenza, qualcosa di cui aver cura e rispetto proprio perché non di nostra proprietà. Al contrario oggi insegniamo ai bambini che è un dovere “aver cura di ogni tua proprietà” quasi a sottintendere che le cose degli altri non sono di tua responsabilità generando il tragico equivoco della devastazione planetaria, non è di mia proprietà la foresta amazzonica … spero si colga cum grano salis l’affermazione deliberatamente provocatoria. Da qui il meccanismo perverso innescato da espressioni come “mia” moglie, allo stesso modo di “mio” marito, quasi che un legame, ufficializzato o meno, comporti diritti di esclusiva anche nei confronti di un essere umano improvvisamente svalutato a oggetto.

Sarà perché intrinseco nella mia natura ma avverto il terrore all’idea che qualcuno possa anche solo supporre di potermi addomesticare, uomo o donna che siano l’addomesticatore e l’addomesticato. Voglio conservare la mia origine selvaggia, ne sono innamorato, infatti non voglio possedere la mia natura selvaggia, mi dono a lei senza nulla chiedere e la ricevo in dono allo stesso modo. Credo che amare, essere amico, non significhi divenire l’addomesticatore né l’addomesticato ma innalzare sé e l’altro ad un livello più alto di libertà, di possibilità di scelta. Ricordo le parole di Clarissa Pinkola Estés, psicologa e scrittrice, mi sembra in “Donne che corrono coi lupi”: “La donna sana assomiglia molto al lupo: robusta, piena di energia, di grande forza vitale, capace di dare la vita, pronta a difendere il territorio, inventiva, leale, errante. Eppure la separazione dalla natura selvaggia fa sì che la personalità della donna diventi povera, sottile, pallida, spettrale.” L’autrice, per mille ragioni contingenti, si esprime al femminile ed in relazione a donne, ma credo che in questo senso non esistano differenze di genere e l’intera sua affermazione conservi per intero il suo valore anche trascritta al maschile. Il termine stesso “selvaggio” ben si attaglia, inteso come istintuale, naturale, non addomesticato dal sistema, proprio al concetto di amore ed amicizia. Nemmeno è il caso di scomodare Rousseau, Thoreau o Emerson, che pure hanno scritto pagine illuminanti al riguardo, per comprendere che amare significa riconoscere la libertà indomabile e indomesticabile nell’altro, la stessa che si riverbera nella più profonda natura di ogni essere umano. Amicizia ed amore sono legami archetipici, le regole, evidentemente posteriori, sono funzionali alla sopravvivenza del sistema che anestetizza la natura più vera di quei sentimenti. La contrattualizzazione dei rapporti fondati su quei sentimenti li snatura e li vanifica. Una volta soppressa la selvaggia libertà che rende l’essere umano la meraviglia che è trasformandolo in un bene usufruibile ecco persa la possibilità all’amore e all’amicizia, certo, si può reclamare il rispetto del “tacito vincolo contrattuale” che obbliga alla “fedeltà”, per l’eventuale violazione si può invocare una punizione o il ludibrio generale, ma non sarebbe più opportuno, come si sono risolti in molti a fare, rinunciare all’amore umano per rivolgere il suo surrogato ad una proprietà, al successo, al denaro, alla notorietà? Una volta in gabbia anche l’amore diviene un criceto disperatamente impegnato nel percorrere la ruota che lo imprigiona, eppure si può addirittura trascorrere la vita osservandone la sterile corsa.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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