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Per un pensiero altro

Siamo la nostra memoria?

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Generico novembre 2021

“Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme inconstanti, questo mucchio di specchi rotti” come non riconoscere l’intensità e la profondità che tanto originalmente caratterizzano la prosa di Jorge Luis Borges, il “non Nobel” della letteratura del XX secolo. Accantono la polemica relativa all’assegnazione dell’ambita onorificenza e subito mi inoltro nel tentativo di dare una risposta all’interrogazione che titola questo incontro. Secondo il grande maestro argentino non ci sono dubbi, noi siamo la nostra memoria, almeno, così sembra affermare, ma è indispensabile, per meglio comprendere il senso di quanto sostiene, soffermarci sulla seconda parte del suo scritto, quella in cui definisce la memoria stessa.

È evidente che nulla ha a che vedere con l’idea dantesca de “la mente che non erra”, il luogo delle verità certe in quanto passate, insomma, nessuna semplicistica distinzione del genere “poiché è un mio ricordo è verità” e non interpretazione soggettiva. Affermazione che, a mio modo di vedere è assolutamente priva di fondamento ma che, per molti più intellettuali di quanti pensassi oltre che nel pensiero comune, è profondamente radicata.

Non abbiamo spazio in questa sede ma sarebbe interessante riflettere su testi come quello di Harry Frankfurt che titola proprio “Verità”, forse non è un caso che il suo lavoro più noto sia “Stronzate”, sarà per una prossima occasione, per ora continuiamo a volare alto e torniamo a Borges.

La sua definizione ci descrive un “museo chimerico di forme incostanti”, un perenne divenire, pertanto, privo di sclerotiche ed arroganti certezze, anzi, le immagini che vi incontriamo sono “mutevoli chimere” e, nel seguito, ancor più sottolinea la frantumazione caotica del nostro museo del ricordo, lo rappresenta come un “mucchio di specchi rotti”. Ma questo cosa significa? Credo che Borges affermando che noi siamo la nostra memoria molto correttamente sostenga che chiunque di noi, se si vedesse trapiantata la memoria di un altro, diverrebbe l’altro, certo, sprofondando un una tragedia feroce, in un conflitto perenne tra le emozioni che i suoi sensi gli comunicano ed i ricordi registrati dai sensi di un altro. Si verificherebbe una sorta di “rigetto” e non credo si possa cercare una “memoria compatibile” tra due esseri umani.

Certo, si può vivere con il cuore di un altro o qualsiasi altro organo, anche artificiale, ma sarebbe folle pensare di poterlo fare con la memoria di un altro! Senza avventurarci in affascinanti percorsi di una, credo ancora per poco, prospettiva fantascientifica, possiamo addirittura rivolgere il nostro sguardo al passato e a chi, con ottiche differenti, ha già meravigliosamente illuminato la questione. Penso ad Agostino che nella sua riflessione sul tempo coglie il ruolo centrale della coscienza, topos nel quale coesistono passato e futuro nell’unico tempo presente che è quello del “io mi sto ricordando”, la presentificazione di ciò che è stato nelle mie possibilità per ciò che sono divenuto.

Quindici secoli dopo Henri Bergson nella sua “Introduzione alla metafisica” afferma con assoluta certezza “coscienza significa memoria”. Questo non risolve il problema, anzi, forse lo complica: cosa si deve intendere per coscienza e perché i due termini tanto si assomigliano da poter divenire sinonimi? Il pensiero del filosofo francese si esprime in due scritti fondamentali: Materia e memoria (1896) e Saggio sui dati immediati della coscienza (1897), lontana da me l’idea di affrontare in questa sede l’analisi della sua teoria, mi limito a ricavarne l’aspetto più utile alla nostra riflessione. La memoria diviene, nella prospettiva bergsoniana, una sorta di illimitato contenitore all’interno del quale si “aggomitola su se stesso” lo scorrere della nostra vita così che ogni ricordo è avvolto ed avvolge, si arricchisce di ciò che è stato e determina la possibilità di essere per ciò che si aggiungerà. Ma l’io, altro protagonista della nostra vita, nel momento in cui “ricorda” afferra un elemento del tutto e lo presentifica alla coscienza di ciò che il suo sguardo del momento si consente di vedere. Può apparire complesso, provo a chiarire: nel momento in cui ricordo non posso pensare che ciò che sto osservando sia ciò che è stato poiché quanto chiamo realtà è la mia percezione di un dato, modificando il soggetto percepente inevitabilmente viene a mutarsi l’oggetto percepito. Se ricordo mia mamma alla finestra che mi sorride mentre gioco in cortile, l’immagine nella mia coscienza (memoria) presente è la somma di tutta la “durata” esistenziale in me di mia mamma e dell’intero divenire che mi ha reso il soggetto presente, compreso il medesimo ricordo che è me stesso e, nell’atto mnestico, mi si mostra come altro da me, osservabile in una ingannevole oggettività.

Il nostro breve viaggio attraverso i più interessanti studi sulla memoria deve concludersi, ahimè, rapidamente con i contributi di Hermann Ebbinghaus per la distinzione tra memoria a breve e lungo termine e, soprattutto, per il concetto di “curva dell’oblio” per arrivare a  Tulvin e Craik (1975) ed alla distinzione  tra memoria episodica e memoria semantica. Mi sembra estremamente affascinante interrogarsi su dove si nascondono oppure e se scompaiono i dati dimenticati? Nel secondo caso questo comporta una sorta di “perdita di coscienza di noi”? E ancora: è possibile confondere memoria con immaginazione? È bene non dimenticare nulla o è opportuno lasciare che i ricordi sbiadiscano e svaniscano per evitare che divengano zavorra al viaggio di oggi, insomma, lasciare spazio per nuovi ricordi.

In “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, uno scritto molto affascinante di Oliver Sacks, l’autore riporta nel capitolo intitolato “Il marinaio perduto” il caso clinico di un suo paziente, Jimmie G. il quale, superati i 60 anni di età, aveva perso completamente il ricordo della sua vita dai vent’anni in avanti. Interessanti i dati di natura neuropsicologica che vi descrive per patologie come la prosopagnosia e la sindrome di Korsakov, ma quello che più ci riguarda è la sua notazione, suggeritagli da un eminente collega, il dott. Lurija al quale aveva chiesto suggerimenti per tentare una cura: “La speranza che egli recuperi la memorie è poca o nulla. Ma un uomo non consiste solo di memoria. Ha sentimenti, volontà, sensibilità, coscienza morale, tutte cose su cui la neuropsicologia non può dire nulla”. Il lavoro di Sacks prosegue con grande coinvolgimento, assiste e studia per un decennio Jimmie, in un suo appunto possiamo leggere “Se un uomo ha perso una gamba o un occhio, sa di averli persi; ma se ha perso un sé, se stesso, non può saperlo, perché egli non c’è più per saperlo”. La sua ricerca diviene sempre più prossima ad ambiti non propriamente clinici, si interroga, infatti, circa la possibilità che Jimmie sia stato “de-animato” dalla malattia. Sarà un’infermiera assegnata al caso di Jimmie a risolvergli l’interrogativo suggerendo di osservare il paziente mentre prega o mentre ascolta musica. In quei momenti estatici il malato ritrovava se stesso, senza bisogno di un passato, senza speranza in un futuro, afferrando profondamente il proprio io nell’istante di vita vera che ricomponeva in esso la sua memoria con la sua coscienza.

Mi piace chiudere e non concludere queste considerazioni con una frase che penso sarebbe meravigliosa e illuminante pronunciata da chiunque nei confronti di un amore, di un amico, meglio, della vita: “La memoria non trattiene che quanto il cuore le suggerisce: che tu possa non scordarmi mai, che io sappia non scordarti mai”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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