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Spirits grand tour

Ron, rum e rhum: una storia di pirati, alambicchi e botti riciclate

"Spirits Grand Tour" è un viaggio alla scoperta dei cocktails e spirits più emozionanti e coinvolgenti: persone, storie e sogni dietro la creazione dei preziosi nettari da degustare

Generico dicembre 2021

Cari amici… BEN RITROVATI! I lettori di IVG di più lunga data potrebbero ricordarsi di me in veste di GOLOSASTRO: in una ormai era geologica fa (per il mondo di internet), scrivevo di enogastronomia, sempre qua su IVG, prima dei vari Masterchef e rubriche dedicate al mondo del cibo e del buon bere. Ora è venuto il momento di iniziare a scrivere di un mondo altrettanto sconfinato, affascinante e pregno di aneddoti e leggende: il mondo dei distillati e della mixology contemporanea.

Se il mondo della ristorazione ha già subito, negli ultimi decenni, grandissime evoluzioni e ha visto la nascita di vere e proprie “correnti di pensiero” legate al cibo, anche il mondo del buon bere e della miscelazione è tornato alla ribalta, avvicinando a sé un numero sempre più folto di appassionati e di curiosi. Ecco: questa rubrica avrà lo scopo di soddisfare un po’ di curiosità legate a questo mondo; dall’approfondire storia e composizione dei principali distillati presenti oggi sul mercato, a conoscere meglio l’origine dei cocktail più iconici e resi celebri da libri e film o da locali leggendari, fino a intervistare quelli che oggi sono gli attori di questo rinascimento della mixology.

Ne arrivo da due serate di degustazione svoltesi a Savona, dove tantissime sono state le domande che mi hanno posto: alcune molto tecniche, ma moltissime altre tese a conoscere, diciamo, le basi della produzione e la composizione dei vari distillati e liquori. In questa rubrica proverò a soddisfare entrambi i livelli di curiosità: partire dall’infarinatura per approfondire alcuni punti storici e dei vari metodi di produzione/distillazione. Premetto che gli argomenti che andrò a trattare sono così vasti e complessi, che sarà necessaria da parte mia una attività di “taglia e cuci”, cercherò comunque di toccare i temi di maggior interesse.

Mentre scrivo queste righe, sto degustando un RON della Repubblica Dominicana, affinato in botti di whisky scozzese: torbato al naso e come impatto in bocca, per poi aprirsi alla suadenza del RON: ecco, provo a rispondere al perché abbia scritto RON e non RUM o RHUM e perché molti distillati di origine caraibica facciano spesso affinamento in botti che hanno contenuto altri tipi di distillati o vini / liquori. Ovviamente questo il rum viene prodotto in tutte le aree del mondo ove vi sia coltivazione di canna da zucchero, ma io mi soffermerò sulle aree più note al pubblico.

Questa bevanda che ci rimanda subito a Paesi esotici, all’epoca delle conquiste europee oltreoceano, a storici bucanieri o pirati, a seconda della bandiera; uno dei distillati più conosciuti e bevuti al mondo non poteva che cambiare nome a seconda del Paese di produzione e alla relativa lingua dei suoi conquistatori.

Partiamo dai RON: figli della dominazione spagnola e quindi prodotti a Cuba, Venezuela, Guatemala, la succitata Repubblica dominicana, Colombia, Panama e Nicaragua; passiamo dai RHUM delle colonie francesi con Isole di produzione quali Martinica e Guadalupe, Haiti e Guayana francese e arriviamo ai RUM di scuola inglese ove troviamo fra i principali produttori le Barbados, la Giamaica, le isole Bermude e Trinidad e Tobago. Da questo elenco “nominale” parrebbero mancare i portoghesi, ma, il Brasile, colonia all’epoca portoghese produce sì, tecnicamente un rum, ma che si chiama a seconda del procedimento, o CACHACA (molto ben conosciuta dagli amanti della Caipirinha) o AGUARDIENTE DE CANA.

Le varie scuole di produzione, non trasformano solo il nome, ma comportano procedimenti di distillazione differenti perché differenti sono gli alambicchi (hanno tutti nomi e storie molto interessanti, ma si dovrebbe fare un articolo a parte) portati dai conquistatori e quindi il risultato finale, anche se, come avrò modo di affrontare meglio nei prossimi articoli, la distillazione con alambicchi discontinui, prerogativa delle distillerie più importanti, è fondamentale per la produzione del rum agricolo che incontreremo fra poco. Nel ciclo discontinuo, alla fine di ogni cotta, ossia un ciclo di distillazione, si deve interrompere il processo per svuotare la caldaia e riempirla di nuovo con altro succo o melassa.

E ora arriviamo al motivo di discussione fra gli appassionati di questo nettare: meglio rum agricolo o rum industriale?

La mia personalissima risposta è che è sbagliata la domanda, trattandosi di due prodotti completamente diversi e con caratteristiche proprie differenti, ma comunque esprimenti grandissima qualità (ovviamente fra i rum di qualità). Il rum agricolo nasce dalla distillazione del succo fresco di canna da zucchero, chiamato anche vesou o miel virgen, mentre il rum industriale o tradizionale o di zuccherificio si ottiene distillando la melassa, ovvero il liquido bruno che si separa dallo zucchero di canna per centrifugazione.

Per capire meglio questo punto torniamo un attimo al 1600 in quanto fino ad allora gli stati europei non permettevano alle colonie di raffinare la canna, tenendole così obbligate all’acquisto dello zucchero di barbabietola di produzione proprio europea. Con l’arrivo di questa tecnologia anche nei paesi tropicali, si potè ricavare un sottoprodotto dalla raffinazione dello zucchero; ovvero la melassa.

I fusti della canna da zucchero, defogliati e leggermente pressati, danno origine a un primo succo zuccherino molto denso che, lasciato riposare o centrifugare negli impianti più moderni, consente la cristallizzazione dello zucchero in superficie e il deflusso di un prodotto secondario non cristallizzabile, ovvero la nostra melassa. Nella produzione dei rum industriali, dopo aver aggiunto acqua e lieviti, la melassa viene fatta fermentare per un periodo compreso tra le 24 ore e i 15 giorni. Tale metodo di produzione del rum ebbe l’innegabile vantaggio di garantire una distillazione continuativa durante tutto l’anno, e non solo nei mesi di raccolto della canna da zucchero e del suo relativo succo fresco.

Nel XX Secolo un crollo del prezzo dello zucchero di canna sul mercato mondiale, spinse i produttori a distillare direttamente il succo fresco, creando così il metodo agricolo. Un errore comune è pensare tutti i rum agricoli come appannaggio della scuola francese e tutti gli industriali della scuola spagnola, anche se ne rappresentano, comunque, la maggioranza dei prodotti conosciuti dal grande pubblico. Quindi il termine industriale non ha minimamente una accezione che potremmo darci noi visto l’aggettivo utilizzato, anzi, io preferisco il termine TRADIZIONALE, in quanto arrivato prima del metodo agricolo. E anche le caratteristiche organolettiche sono così differenti da azienda ad azienda, che non riesco a imputarle a un metodo al posto dell’altro… per cogliere le sfumature differenzianti, non vi resta che continuare a degustare sempre rum di produttori diversi.

Dimenticavo: come tutti i distillati, il rum ha un colore cristallino e trasparente come acqua di fonte, sono proprio le botti e in taluni casi caramello o altri componenti coloranti a conferire le varie tonalità di colore che identificano i vari rum. Ed ecco che siamo arrivati alle botti e al perché spesso il rum invecchi in botti di secondo passaggio: anche qua ci aiuta la storia delle conquiste e la nascita dei fiorentissimi mercati delle varie “Compagnie delle Indie Occidentali”: l’Europa e il Nord America avevano fitte foreste dalle quali prendere il legno per costruire le botti (soprattutto rovere e quercia), nei Caraibi, terra di destinazione di queste navi, il legno scarseggiava a favore di bellissime ma poco utili palme. Quindi i vari navigatori caricavano nei loro Paesi di origine botti piene di Cognac, Whisky, Acquavite, Gin, Porto etc e tendenzialmente se lo bevevano nel tragitto di andata, per poi tornare indietro con il rum messo nelle stesse botti.

Il perfetto servizio di un buon rum prevede un bel bicchiere ampio e bombato, TASSATIVAMENTE NON SCALDATO con la lancia del vapore delle macchine da caffè, che lo renderebbe troppo caldo e cagionerebbe uno shock termico a quel povero rum che non ha atteso anni per finire “arrosto” ed essendo sufficiente il calore delle nostre mani per donargli la giusta temperatura di beva. L’abbinamento perfetto, ancora migliore dell’abbinamento rum e cioccolato, è con frutta secca o disidrata originaria proprio dei Paesi produttori di rum (quindi un abbinamento territoriale).

E mentre torno a sorseggiare il mio RON, canticchio nella mente l’immortale scritto di Robert Louis Stevenson “Quindici uomini sulla cassa del morto | Io-ho-ho, e una bottiglia di rum!“, chiudo gli occhi e mi ritrovo subito sull’Isola del tesoro.

P.S. Fra le varie fonti che ho utilizzato e utilizzerò, soprattutto per quanto riguarda aneddoti, storie e leggende, ringrazio il mio “Virgilio dantesco” Stefano Talice e i suoi dialoghi con me: continua fonte di sapere alcolico.
Riferimenti bibliografici:
Fulvio Piccinino, Saperebere, Ed. Graphot, 2021
Leonardo Pinto, Il mondo del RUM, La guida tecnica completa per orientarsi nel mondo del rum e della cachaça, 2018

“Spirits Grand Tour” è un viaggio, a cura di Fulvio Santorelli, alla scoperta dei Cocktails e Spirits più emozionanti e coinvolgenti. Persone, storie e sogni dietro la creazione dei preziosi nettari da degustare. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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