Caro Gesù Bambino,
anzi, forse dovrei scrivere “Cari, Gesù Bambini…”
Ma andiamo con ordine perché, parlerò di presepio, quello di mia madre, ed è necessario proseguire con calma e sangue freddo.
LA CONCESSIONE EDILIZIA
Mia mamma è una donna piccola. Minuta. Mingherlina. Un colibrì di mamma. Mai una esagerazione, mai un capello fuori posto, mai una parola fuori dalle righe. Mangia poco. Beve poco.
Ma in quel salotto a Natale, la mamma colibrì tira fuori tutta la megalomania che in lei è sempre stata nascosta, e progetta per mesi e mesi un’opera talmente titanica che Christo le farebbe l’applauso.
I progettisti della Mini Italia un anno, sono venuti in visita al presepe di mamma, e sono usciti piangendo.
La superficie impiegata per l’edificazione del presepe, ogni anno pare crescere in maniera inesorabile e preoccupante, tanto che pare che al Comune di Albissola Marina siano depositati diversi esposti per abuso edilizio e occupazione abusiva di suolo pubblico.
Ma mamma a Natale, diventa irridente della legge, e se ne infischia, continuando la sua lenta presepizzazione dello spazio. Quando in salotto compariranno ferri da armatura e una betoniera allora forse ce ne preoccuperemo. Forse.
LA MANOVALANZA
Non pensiate che l’allestimento del presepio sia una romantica faccenda collettiva. Levatevi dalla testa la dolce immagine di una famiglia che operosamente collabora alla creazione della atmosfera natalizia.
Questa non è una pubblicità dell’ikea con le lucine, tutti vestiti in tartan, lana bianca e i maglioni di Natale coi pupazzetti, e tutti che si amano e si rispettano. Questa è la realtà. E il Presepe non è roba da signorine. Il Presepe è un rito.
In realtà i buoni propositi ci sono tutti. Ella, la Madre, inizia a predisporre gli animi sfilando dalla custodia impolverata il famigerato vinile delle canzoni di Natale dello Zecchino d’oro dal 1969 al 1985, roba che dopo dieci minuti di vocine stridule che inneggiano alla bontà e alla concordia, vorresti uscire a sparare qualche raudo sotto alle gonne delle vecchiette.
Successivamente assegna i compiti al resto della famiglia, solitamente tutti elegantemente abbigliati coi pigiamoni in acrilico del mercato in fantasie optical anni settanta, e l’elastico mollo sul sedere, qualcuno finisce a trasportare scatoloni su scatoloni, dal garage al salotto, qualcuno si deve occupare di scale, sgabelli e rialzi, i più piccoli vengono sfruttati per stropicciare la carta , e il povero papà finisce schiavizzato e bullizzato nella difficile opera di posa del complesso e intricato impianto elettrico di illuminazione presepiale.
La piccola mamma colibrì impera ,e assegna ordini dall’alto della sua scaletta a tre gradini, dirigendo le proprie api operose in pigiama di pile con la sola imposizione di dolcissime minacce e prevaricazioni.
LA GESTAZIONE
Per i motivi sopracitati dopo pochi minuti dall’inizio dell’edificazione dell’opera magna, Ella rimane sola nel suo regno, tra la neve spray, la porporina e i pastori con la testa mozzata.
Inizia quindi la settimana di gestazione nella quale Ella non dorme, ma alacremente crea, tutta la notte .
In piedi sulla scaletta, col pigiamino rosa e la pinza in testa stropiccia, edifica, incassera, smonta, rimonta e poi smonta di nuovo. Alacremente, ininterrottamente e , man mano che passano i giorni, sempre più nervosamente. Il resto della famiglia vaga senza meta e senza guida: sporchi, nervosi, affamati.
Papà si rifugia dalla nonna bis per avere un pasto caldo, noi figlie portiamo spesso fuori il cane, il quale segretamente progetta il sequestro dell’insopportabile vinile dello zecchino d’oro.
NASCITA
E poi una mattina eccolo lì: IL PRESEPE. Quattro metri di montagne, colline e pianure. Un villaggio di facce, mestieri e casette. Un piccolo mondo ideale. Il suo. Quello di mamma. Ognuno al suo posto. Ognuno felice.
Lei ci accoglie felice e sfinita. Si gode la meraviglia nei nostri occhi. Si gode la fine di questo momento che per una volta nella vita è solo e solo suo. Questo spazio di creazione di amore e gioia per il quale una volta all’anno e solo una, smette di essere chi le hanno detto di essere e diventa solo sé stessa.
Si siede. E inizia la magia.
Dalla scatola dei pastori escono visi antichi, conosciuti, amati. Ogni statuina una storia, ogni storia un posto.
Donne, uomini, oche, bambini e vecchietti. Ognuno con una crepa, la testa riattaccata male, un braccio perso chissà dove.
Mamma ce li consegna uno ad uno, piccoli lari familiari, delicati e potenti.
La capanna al centro. Fulgida. Emozionante. Magnetica.
Nella paglia manca il bambinello, caro Gesù Bambino, manchi tu.
Da parte in un cofanetto, riposano i Bambini Gesù, uno per ogni bimbo di casa. A mezzanotte mamma li consegna e si mette in un angolo, con gli occhi pieni e lucidi, e ci osserva riempire la capanna di bambini, noi, i bimbi suoi : figli e nipoti e chiunque lei ami , dai quaranta ai nove anni.
Il vinile gracchia nel giradischi, le pecore cascano sul muschio, i pastori sorridono, mamma pensa a chi non c’è più ma poi guarda noi.
E Gesù nasce di nuovo.
“Rosso Pistacchio” è la rubrica di Marzia Pistacchio, che ama definirsi “una truccatrice struccata”. Ogni martedì uno spazio dal taglio volutamente “leggero” con i suoi racconti, nati su IVG e poi diventati un libro. Clicca qui per leggere tutti gli articoli