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“Liguria periferia produttiva del Nord Italia, la ripresa non passa dal turismo”: lo studio di Cgil

La nostra regione è cresciuta meno del Mezzogiorno e le previsioni legate al Pnrr la danno sotto la media nazionale. Veirana: "Aprire un ragionamento sul sistema bancario"

Turisti a Genova agosto 2020

Liguria. La nostra Regione si conferma sempre più “periferia produttiva del Nord Italia”, con un ruolo sempre più marginale della manifattura, uno sviluppo del turismo che però non basta a colmare il gap e una crescita stimata nei prossimi anni inferiore alla media nazionale nonostante i fondi previsti dal Pnrr. È la fotografia scattata dall’istituto Isrf Lab della Fisac Cgil e presentata durante il convegno “La Liguria tra crisi e rilancio” oggi a Genova. Non solo un’analisi economica sulla situazione attuale ma anche una proposta di sostegno al sistema del credito come fattore cruciale del rilancio.

“Vogliamo approfondire, rispetto a tutti i fondi disponibili dal Pnrr a tutti i fondi europei, come la Liguria sta nel resto del Paese e nei confronti dell’Europa – spiega Fulvia Veirana, segretaria generale della Cgil Liguria -. In questo c’è un ragionamento sia con Filse sia coi fondi privati, ma anche col sistema bancario. In Liguria abbiamo aperta la crisi Carige, si è perso più del 40% dei posti di lavoro in dieci anni, quindi il tema è come reagisce tutto il sistema a partire da quello bancario vista l’ingente liquidità che ci sarà nei prossimi mesi e come il sistema bancario sarà a sostegno di un modello di sviluppo che ancora non c’è”.

“Il punto principale riguarda una questione annosa: la Liguria è sempre più periferia produttiva del Nord Italia – spiega Roberto Errico, ricercatore che ha condotto lo studio -. Ciò significa due cose. Dopo il Covid la Liguria è la regione che è cresciuta di meno in tutto il Nord Italia, ma anche meno del Mezzogiorno, di 0,3 punti percentuali. La seconda riguarda la relazione tra la struttura produttiva, che si riduce non come numero di lavoratori in senso assoluto ma come shift produttivo tra manifattura e settori in cui purtroppo il lavoro è precario e pagato meno come il turismo, e il credito”.

Il punto di partenza pre-Covid è significativo: la Liguria è cresciuta molto meno della media nazionale e meno del Mezzogiorno nel suo complesso. Poi, a parlare sono i dati Istat, Svimez e Prometeia elaborati dall’Isrf. Con la pandemia la Liguria è decresciuta meno del centro Nord nel 2020, con una variazione del Pil del -7,5% (media nazionale -8,9%), ma le previsioni sul 2021-2022 vedono la nostra regione in rincorsa con una crescita del 9,4% cumulato (media nazionale 10,5%). Anche gli investimenti fissi lordi saranno sotto la media italiana di 2 punti percentuali. Situazione molto simile per l’occupazione: in Liguria nel 2020 è calata dell’1,7% (in Italia del 2%), ma la crescita prevista è del 9% nel 2021 contro il 10% nazionale, il 10,5% della Campania e l’11,5% del Veneto.

Secondo lo studio “il crollo dell’occupazione nel manifatturiero è la chiave di lettura della crisi ligure“. Tra il 2012 e il 2019 si è assistito a un calo del 20% dei lavoratori in questo settore (rispetto al 2,1% italiano) e del 34% per quanto riguarda le aziende con oltre 250 dipendenti (in Italia 2,5%), responsabili di circa il 75% di posti di lavoro persi nella manifattura. “Il turismo è importante, ma non si potrà basare la ripresa su quel settore. Si perdono posti di lavoro nell’industria e nel frattempo shiftano su altri settori in cui i salari sono più bassi. Bisogna smetterla di dire che il turismo è l’oro nero. Nel frattempo il triangolo industriale si è rovesciato e il nuovo vertice è spostato verso il Nord-Est”.

In questo quadro si inserisce il ruolo del credito. “In Liguria – prosegue Errico – assistiamo a una situazione paradossale per cui, in conseguenza non solo della crisi di Carige ma di una questione di sistema che riguarda anche tutte le altre grandi banche del Paese, si perde il doppio dei dipendenti in cinque anni rispetto alla media italiana, i crediti alle imprese diminuiscono molto più della media italiana, e quindi si crea una situazione in cui la scarsa crescita economica alimenta la presenza sempre più marginale delle banche del territorio che influisce sulla futura scarsa crescita economica in un ciclo perverso“.

In Liguria il calo di occupazione nel settore bancario è stato del 20,5% tra il 2015 e il 2020 (nel Nord Ovest solo l’1,6%, in Italia il 9,1%) e gli impieghi a imprese con più di 20 addetti sono calati del 21,3% tra il 2015 e il 2019 (Nord Ovest -6,4%, Italia -9,3%).

Cosa fare a questo punto? “Intanto mettere intorno a un tavolo tutti i soggetti che si occupano di lavoro e sviluppo – propone la segretaria Veirana -. Noi chiediamo da tempo che la Regione convochi Anci, perché anche i Comuni possono fare progetti per il Pnrr, Confindustria, Università, Iit e sindacati, per costruire un nuovo modello, quello che traguarda al futuro e non si occupa parzialmente delle singole attività. Come il nostro studio dimostra, il lavoro ha perso qualità, in particolare la manifattura ha perso una fetta importante dell’occupazione. Su questo bisogna ragionare, riflettere e reagire con coraggio e determinazione”.

“Anzitutto servirebbe un ragionamento ampio sulle situazioni di crisi sul tappeto – commenta Errico -. Affrontare la crisi demografica ligure: è la regione più vecchia d’Italia e rischia di perdere altri 300mila abitanti nel giro dei prossimi 15 anni. In secondo luogo affrontare la questione della manifattura che è cruciale per il futuro di Genova e di tutta la Liguria e va messa in connessione col rilancio del porto. È evidente che poi sul credito bisognerà iniziare a fare un ragionamento per invertire la tendenza all’abbandono. L’orografia ligure è particolare, non si può pensare di continuare a chiudere una serie di sportelli in una regione in cui è difficile muoversi da un posto all’altro”.

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