La telefonata

Alimentazione, Alfei: “Solo un olio di qualità fa bene alla salute, impariamo a sceglierlo con attenzione”

L’agronoma marchigiana ospite del podcast “La Telefonata” condotto dal giornalista Nicola Seppone

Generico novembre 2021

Liguria. “Chi produce olio e lo fa con passione è sempre convinto che il suo prodotto, realizzato con tanto amore con le sue mani, sia l’olio migliore del mondo. Ma il concetto di qualità non è un concetto soggettivo, soprattutto in questo settore”.

Non basterebbero queste poche parole per sintetizzare la lunga intervista andata in onda nel corso del podcast “La Telefonata” – condotto dal giornalista di IVG Nicola Seppone – a Barbara Alfei, agronoma marchigiana, dipendente Assam (Agenzie Servizi Settore Agroalimentare delle Marche) e vero e proprio punto di riferimento del mondo EVO nel nostro Paese. No, quelle poche parole non basterebbero perché la dottoressa, un vero e proprio guru dell’olivicoltura italiana, è un concentrato di informazioni puntuali su un alimento che crediamo di conoscere bene (perché lo mettiamo a tavola tutti i giorni), ma di cui in realtà (come scopriremo) sappiamo ben poco. E a volte quel poco non solo è scorretto, ma è anche potenzialmente dannoso per la nostra salute.

LO MANGIAMO TUTTI I GIORNI, MA NON LO CONOSCIAMO

L’olio è un prodotto che fa parte della nostra cultura e della nostra storia. La pianta d’olivo è una pianta generosa, sempre verde. È una di quelle specie che ti dà sempre qualcosa anche senza ricevere quasi nulla in cambio: “Nel mondo dell’olivo e dell’olio, ci accontentiamo sempre di fare quello che diceva il nonno senza cercare di approfondire quelle che sono le vere potenzialità della specie olivo e del prodotto olio, che è un prodotto da riscoprire in termini di qualità – spiega Alfei -. L’olio fa bene alla salute, ma non tutto l’olio fa bene alla salute a prescindere. C’è olio e olio”.

Anche perché dalle olive noi estraiamo l’olio, è vero, ma per poterlo classificare come extravergine vanno verificati una serie di parametri: “La maggior parte sono analisi di laboratorio – afferma -. L’acidità è la più famosa (e deve essere inferiore allo 0,8%), ma c’è anche un parametro che si chiama panel test. In questo caso, un gruppo di assaggiatori, che per garantire la maggiore oggettività deve essere formato da almeno otto persone, effettua delle analisi realizzate con gli organi di senso. Prima di poterlo fare devono aver fatto dei corsi di assaggio, ci vuole una idoneità, che si raggiunge solo attraverso un percorso codificato dalla normativa”.

ASCOLTA “LA TELEFONATA” CON BARBARA ALFEI

E Alfei, assaggiatore d’olio e capo panel che coordina il gruppo regionale di assaggio delle Marche (riconosciuto dal Ministero), lo sa bene. Questo è un passaggio fondamentale, perché ci fa capire che un olio per poter essere classificato come extravergine necessita di un “duplice test”. In altre parole non sono io, piccolo/grande produttore o semplice contadino, che posso definire il mio olio come extravergine di oliva (con tutte le conseguenze positive del caso che vedremo a breve), ma le analisi chimiche e sensoriali.

SOLO UN OLIO BUONO FA BENE ALLA SALUTE

Alfei mette in guardia produttori e consumatori: “L’olio fa bene alla salute? Sì, ma dobbiamo specificare che solo un olio buono fa bene alla salute. L’olio ottenuto dalle olive è un olio che ha delle proprietà nutrizionali importanti, proprio perché l’olio di oliva è un frutto molto fortunato – sottolinea l’agronoma -. Se un produttore produce olio e lo mette in vendita come extravergine di oliva, deve garantire il rispetto di tutti i parametri chimici ma anche l’assenza di difetti, oltre alla presenza di fruttato verificata tramite panel test”.

Capite bene che qui non ci troviamo più nell’ambito delle “possibilità” (date ad un produttore), ma “dell’obbligatorietà” o dei “doveri”. Se un olio non rientra nemmeno nelle categoria degli oli vergini, infatti, è considerato lampante. E qui arriviamo ad un altro punto interessante: “Un olio lampante per normativa non è commestibile e come tale deve essere sottoposto a trattamenti chimici – puntualizza Alfei -. Anche perché diventa praticamente un olio inodore, incolore e insapore, che si chiama raffinato. E se a questo olio noi aggiungiamo un po’ di extravergine, otteniamo l’olio di oliva, che è quello troviamo anche al supermercato. Ma stiamo parlando in un prodotto ben diverso dall’extravergine”.

AMARO E PICCANTE: PREGI, NON DIFETTI

Gli oli di qualità sono ricchi di polifenoli. Ma che cosa sono e a che cosa servono?

Si tratta di sostanze antiossidanti che fanno bene all’olio ma anche a noi – precisa Alfei -. I polifenoli sono quelli che riusciamo a percepire grazie alle caratteristiche di amaro e piccante”. Ed ecco perché amaro e piccante non sono dei difetti (come comunemente molti di noi sono portati a credere assaggiando un olio).

E infatti l’agronoma marchigiana afferma: “Sono proprio quegli attributi che il consumatore medio detesta. L’amaro è cattivo e quando l’olio pizzica in gola le persone pensano che sia acido e rancido, ma in realtà sono grandissimi pregi dell’olio legati alla presenza di polifenoli. Affinando i propri sensi, imparando ad assaggiare l’olio, se il consumatore generico riuscisse a distinguere i pregi dai difetti sarebbe in grado di scegliere l’olio che fa più bene alla sua salute”.

E sapete chi può insegnarci meglio di tutti a scegliere un olio di qualità? I bambini. “Chi non ha preconcetti sa riconoscere la qualità. All’inizio, soprattutto se uno è abituato a mangiare oli di scarsa qualità, non sarà facile far comprendere questo messaggio. Ma una volta capito, non si torna più indietro. L’olio buono, infatti, crea dipendenza”.

LA GIUNGLA DELLE ETICHETTE E DEI PREZZI DIFFERENZIATI

Scegliere un buon olio, quindi, non è semplice. Il produttore deve fare la sua parte (così come il frantoiano, che secondo Alfei deve essere “una figura professionale), ma anche il consumatore deve imparare a riconoscere la qualità ed essere disposto a pagarla.

“Se andiamo nella grande distribuzione – spiega Alfei -, vediamo bottiglie con etichette che riportano la scritta ‘olio extravergine di oliva’, prezzi differenziati, provenienze diverse, e se il consumatore non è minimamente formato si perde in questo grande mondo dell’EVO. Quindi per potersi orientare servono le conoscenze di base ma gli organi di senso allenati aiutano più di tutto a riconoscere la qualità”.

La cosa “buffa”, poi, è che la normativa vieta ai produttori di indicare la provenienza precisa di quel prodotto: “È vietato indicare la regione, la provincia, il paese, ma possiamo mettere solo Italia, almeno che non si parli di una DOP legata ad un’area ben specifica – ci ricorda l’esperta -. Ci potrebbe essere l’indicazione della varietà, per esempio Taggiasca, ma non è obbligatoria”. In poche parole, se io sono un produttore locale (pensiamo alla piccola azienda ligure a conduzione familiare), non potrò riportare in etichetta che il mio olio è stato prodotto in quel paesino adagiato tra le colline dell’entroterra, ma potrò solo scriverci – molto genericamente – “100% italiano”.

Ma attenzione: “L’origine non è sinonimo di qualità – mette in guardia la dottoressa Alfei -. Se uno sceglie l’olio italiano piuttosto che spagnolo non è scontato che quello italiano sia più buono. Le potenzialità in Italia sono enormi, ma qui si possono produrre ottimi oli così come pessimi oli. Ecco perché è importante saper riconoscere la qualità”.

CHEF STELLATI, PIATTI FRESCHI E OLIO DI SCARSA QUALITÀ: IL PARADOSSO

C’è un modo semplice per rovinare un piatto fresco cucinato e cotto a puntino. Come? Condendo quello stesso piatto con un olio di scarsa qualità. E questa è una prassi piuttosto consolidata in diversi ristoranti italiani, anche di alto livello.

“Purtroppo c’è ancora molto da lavorare – è il pensiero di Alfei -. Sono stati fatti passi in avanti, ma il problema c’è e riguarda sia i ristoratori che gli chef. La scarsa attenzione per l’olio è piuttosto diffusa. Capita di andare in ristoranti, anche importanti, dove c’è massima attenzione per la qualità della materia prima, ma poi molti non si rendono conto di quanto la scelta di un olio possa incidere, negativamente come positivamente, su un piatto. Questa scelta a volte è fatta in buona fede, altre volte no. Ma pensiamo ad un bel piatto di pesce fresco. Se viene aggiunto un olio vecchio, quel sapore di rancido andrà a coprire completamente il vero gusto del piatto. Se invece aggiungiamo un filo di buon olio, magari con un bel sentore di mandorla, per esempio, riusciamo a valorizzare tantissimo il piatto”.

Dobbiamo imparare a vedere l’olio non solo come un semplice condimento, ma come un ingrediente importante della dieta mediterranea, che fa bene alla salute e che deve essere di qualità”.

“L’OLIO DEVE AVERE IL PREZZO CHE SI MERITA”

Alla fine, se ci pensiamo bene, è vero: siamo disposti a spendere molto per una bottiglia di vino (che si consuma nel corso di un pasto), ma se ci chiedono di spendere quella stessa cifra per una bottiglia di olio iniziamo a storcere il naso.

E secondo Alfei la sfida per il futuro è tutta qui: “È un lavoro di marketing, certo, ma occorre anche trasmettere la cultura dell’olio. Solo così si può valorizzare il lavoro degli olivicoltori. Prezzo basso vuol dire quasi sempre scarsa qualità, ma ci sono oli venduti a prezzi molto alti che allo stesso modo non sono di qualità. E questo può diventare molto pericoloso. Anche perché, come abbiamo detto, un olio buono fa bene alla salute, ma un olio di scarsa qualità, per esempio rancido, fa l’esatto opposto”.

“Invece di andare in un centro commerciale, perdendosi tra mille etichette – conclude l’agronoma -, potrebbe essere più utile recarsi direttamente dal produttore e magari chiedergli di assaggiare le diverse varietà. Per avere più supporto nella scelta, inoltre, possiamo anche domandargli di mostrarci le analisi chimiche o il panel test. Dobbiamo considerare che dietro ad un prodotto non c’è solo un’azienda, ma anche un mondo fatto di emozioni, di storie e di persone che ci mettono il cuore. Un mondo che merita di essere scoperto”.

E visto che in Liguria siamo conosciuti per la nostra “olivicoltura eroica” e per quelle terrazze a strapiombo sul mare tanto affascinanti quanto ostiche per i nostri olivicoltori, il nostro viaggio nel mondo dell’EVO e dei piccoli produttori non potrà che regalarci delle emozioni e, chissà, magari qualche bella sorpresa.

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