La telefonata

Violenza sulle donne, nel savonese richieste di aiuto in aumento: “Chiunque può diventare un mostro”

Ne abbiamo parlato nel podcast “La Telefonata” condotto dal giornalista Nicola Seppone insieme all’avvocato e coordinatrice del centro antiviolenza di Albenga Veronica Caprino

Generico settembre 2021

Savona. Sono numeri da incubo quelli che si registrano negli ultimi anni in Liguria e più in generale nel nostro Paese con riferimento alla violenza sulle donne e ai femminicidi. Una tematica da brividi non solo per le persone vittime di violenza (o peggio), ma anche per chi ha deciso di dedicare una fetta di tempo libero all’ascolto di queste brutte storie.

Tra queste c’è l’avvocato Veronica Caprino, che dal 2015 opera come volontaria a favore di quello che oggi conosciamo come il “Centro Antiviolenza Artemisia Gentileschi” di Albenga. Ma come opera questa realtà? Cosa possono ottenere le donne vittime di violenza (fisica o psicologica) chiamando il numero attivo 24 ore su 24? Nel savonese, quante donne chiedono aiuto al centro? È possibile tracciare un identikit del potenziale violentatore/assassino? Ne abbiamo parlato con lei nel corso del podcastLa Telefonata” condotto dal giornalista di IVG.it Nicola Seppone.

DA SPORTELLO A CENTRO: ASSISTENZA PIENA E PROFESSIONALE

Quello che oggi conosciamo come Centro Antiviolenza Artemisia Gentileschi di Albenga sino al 2019 era uno sportello nato dall’incontro tra la Caritas e lo Zonta Club: “Sono due realtà diverse – racconta Caprino – che hanno trovato un punto di incontro nell’obiettivo di aiutare, supportare e promuovere in qualche modo anche l’emancipazione femminile e soprattutto per contrastare la violenza nei confronti delle donne”.

Nel 2019, poi, la svolta: “Da quel momento non siamo più un semplice sportello di ascolto, ma un vero e proprio centro accreditato da Regione Liguria che ci dà l’opportunità di fare qualcosa di più – spiega l’avvocato -. Prima noi ci occupavamo di fare accoglienza, ascolto, accompagnamento delle donne nel percorso di uscita dalla violenza e i servizi di consulenza psicologica e legale. Ma oggi noi possiamo proprio entrare nel merito della ‘redazione’ del progetto di uscita dalla violenza. Quindi possiamo supportare le donne con delle borse lavoro, possiamo assisterle e prenderle in carico in modo più approfondito dal punto di vista legale”.

Stiamo parlando di volontarie che si mettono a disposizione 24 ore su 24 per assistere – prima telefonicamente e poi attraverso gli altri strumenti del caso – donne in difficoltà: “Tutto questo non lo facciamo da sole, ma coordinati in rete con diversi servizi, con il pronto soccorso, con le forze dell’ordine. Nessuna di noi è pagata e tutto il personale è femminile. Rendiamo, secondo me, un servizio molto importante” afferma.

ASCOLTA “LA TELEFONATA” CON L’AVVOCATO VERONICA CAPRINO

UNA PRESENZA QUALIFICATA NEL MOMENTO DEL BISOGNO

Per un attimo mettetevi nei panni di una volontaria del centro che risponde al telefono e si prepara ad ascoltare una brutta storia. L’approccio, in questi casi, non può ridursi a quello dell’amica del cuore pronta a consolare una persona. Per il Centro Antiviolenza Artimisia Gentileschi di Albenga la parola d’ordine è professionalità: “La nostra formazione è importante – prosegue Caprino -, anzi, noi siamo in costante formazione. Il contrasto al fenomeno della violenza sulle donne va affrontato con strumenti forti e specifici, non si può improvvisare, altrimenti si fanno danni enormi”.

Io ho iniziato nel 2015 – racconta -, quando ho fatto il corso di formazione. L’ultimo lo abbiamo fatto prima della emergenza sanitaria e un altro probabilmente ci sarà l’anno prossimo. Si fa un affiancamento con le volontarie con più esperienza e poi si diventa operative a tutti gli effetti. È importante sottolineare che si resta operative solo se si fa un’esperienza continuativa. È un percorso molto impegnativo, circa un centinaio di ore. Non è un volontariato semplice”.

UN ASCOLTO SENZA PREGIUDIZI

Una volta terminata la fase “teorica”, per le volontarie del centro inizia la fase pratica: “Una donna ci chiama telefonicamente – spiega la coordinatrice del centro ingauno -, prende appuntamento e fa il primo colloquio con una volontaria. Se ha bisogno di fare consulenza legale o psicologica viene mandata dal personale qualificato. C’è un numero che si può chiamare sempre, h24 (366.4387011). Noi siamo costantemente reperibili, sabato, domenica, di notte, sempre. Sette giorni su sette”.

C’è sempre del personale qualificato che risponde al telefono e che dà tutte le indicazioni necessarie – precisa -. Le donne che si rivolgono a noi devono sapere che qui troveranno delle volontarie con una formazione specifica, che saranno credute, che non saranno giudicate e che quello che ci diranno rimarrà lì e non verrà riferito a nessuno all’esterno. La donna che arriva da noi non arriva improvvisamente, ma probabilmente sta già facendo un certo percorso. Vuol dire che c’è una prima presa di consapevolezza e questo è già molto importante”.

RICHIESTE DI AIUTO: IMPENNATA DI ACCESSI AL CENTRO NEL SAVONESE

Numeri aggiornati alla mano, sono sempre di più le donne residenti nel savonese che compongono il numero per ricevere supporto dal centro: “Rispetto al 2019 – continua Caprino -, gli accessi sono raddoppiati. Infatti, se nel 2019 si registravano circa 16 donne in un anno, che rispetto alla nostra piccola realtà comunque non sono poche, nel 2021 ad oggi (settembre) abbiamo avuto 35 accessi. In Liguria sono dieci i femminicidi registrati negli ultimi 18 mesi, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona”.

Che cosa non funziona?: “Dobbiamo ragionare sul fatto che la violenza è sempre un fenomeno culturale-sociale – spiega l’avvocato nel corso del podcast -. Non è una questione di forza fisica, il problema è che c’è un modello che non funziona. Tra i nostri obiettivi c’è quello di fare cultura e prevenzione. Anche perché quando si arriva alla fine si rischia di arrivare troppo tardi. Organizziamo quindi convegni e progetti nelle scuole”.

L’IDENTIKIT DELL’ASSASSINO O DEL VIOLENTATORE? “NON ESISTE, POTENZIALMENTE PUÒ ESSERE CHIUNQUE”

Se provassimo a dipingere un ritratto del potenziale assassino o violentatore ne usciremmo sicuramente con una bozza in bianco. È impossibile, infatti, cercare di individuare preventivamente il soggetto che potrebbe macchiarsi di un determinato reato di violenza nei confronti di una donna: “Quando andiamo a guardare chi sono gli autori di questi reati – spiega Caprino -, ci rendiamo conto che in realtà sono degli insospettabili. Può essere davvero chiunque. Ne vediamo di ogni tipo. Nell’immaginario collettivo c’è l’idea dello scaricatore di porto e della casalinga. Questo è sicuramente un modello, può succedere. Ma abbiamo visto anche persone plurilaureate. Questo è importante perché fa capire che è un fenomeno che colpisce ogni fascia d’età, ogni ceto sociale, ogni studio e cultura personale”.

L’avvocato, poi, bacchetta i giornali che puntano a fare del sensazionalismo con i titoli: “Noi ogni tanto leggiamo degli articoli in cui si parla dell’ennesimo ‘femminicidio a causa del Covid’, ma questo è un titolo sbagliato. Perché non è che il femminicidio è stato causato dal Covid o dalla perdita del lavoro. È un fenomeno che c’era già prima statisticamente”.

QUANDO IL GIUDICE FINISCE SUL BANCO (SOCIAL) DEGLI IMPUTATI

Quando si leggono notizie di femminicidi o violenze sulle donne, non è raro trovare commenti sui social di persone che puntano il dito contro il giudice, reo di aver “lasciato in libertà un soggetto potenzialmente pericoloso”.

Un punto, quest’ultimo, su cui secondo l’avvocato Caprino occorre fare molta chiarezza: “Il giudice deve fare delle valutazioni e lo fa allo stato degli atti. Guarda la querela, guarda cosa c’è scritto e sulla base di quello verifica se ci sono gravi indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari (pericolo di recidiva, inquinamento probatorio, ecc). Se non ci sono questi presupposti il giudice non può fare molto. E anche quando emette il c.d. Dapo (Divieto di Avvicinamento alla Persona Offesa), non è che questo provvedimento metta la donna in una campana di vetro”.

E le leggi in Italia? : “Ci sono – conclude – e ce ne sono tante. Certo, potrebbero essere aggiornate, ma gli strumenti ci sono. Il problema è l’applicazione a volte. Una volta che ci si immette nel percorso penale ci sono una serie di ostacoli, bisogna bilanciare i vari interessi e il diritto alla difesa. Per quello è importante farsi supportare, perché a volte non basta il legale. Un collega che non fa tutti i giorni questo potrebbe non cogliere delle sfumature, mentre se la donna è affiancata anche da un centro antiviolenza noi andiamo a supportarla”.

UN SOGNO UTOPICO

Pensare ad un mondo senza femminicidi e senza violenze sulle donne (e non solo) resta, molto probabilmente, un’utopia. Un’utopia che, tuttavia, forse dobbiamo continuare ad inseguire con coraggio e determinazione partendo dall’educazione.

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