Liguria. La Dia (Direzione Investigativa Antimafia) ha eseguito un provvedimento di confisca di beni mobili ed immobili per un valore complessivo di circa due milioni di euro (QUI l’ultimo in ordine temporale, avvenuto ad Albenga il 21 giugno scorso).
L’attività scaturisce da accurate indagini preventive, cui è seguita la proposta di misura da parte della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e l’emissione del provvedimento ablativo da parte del Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione.
I beni erano nella disponibilità di due soggetti arrestati nel luglio del 2016 nell’ambito della operazione antimafia “Alchemia” (leggi QUI), condotta dalla D.D.A. reggina eseguita congiuntamente dalla D.I.A e dalla Polizia di Stato e conclusasi con l’emissione di 42 misure cautelari.
I soggetti interessati dal provvedimento di confisca sono risultati affiliati a notissime cosche di ‘ndrangheta ed indiziati di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni e società.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha riconosciuto come l’associazione all’interno della quale si muovevano i due soggetti colpiti dal provvedimento ablativo fosse propriamente di tipo mafioso e ha quindi disposto la confisca: dell’intero capitale sociale e patrimonio aziendale di un’impresa operante nel settore delle pulizie industriali e civili, di un fabbricato e di un terreno siti in provincia di Alessandria, nonché di conti correnti, beni mobili registrati e posizioni finanziarie riconducibili agli interessati per un valore complessivo di 2 milioni di euro.
Si tratta di Orlando Sofio di Novi Ligure e Marianna Grutteria di Serravalle Scrivia. Entrambi di origine calabrese sono stati condannati nel luglio 2020 per associazione a delinquere semplice nel processo “Alchemia”: 5 anni e 3 mesi di carcere sono stati inflitti a Sofio dal Tribunale di Palmi che ha condannato, invece, Grutteria a 3 anni di reclusione.
I pm, però, hanno fatto appello perché nell’ambito dell’inchiesta, secondo la Dda, i due imputati dovrebbero essere condannati per associazione mafiosa perché ritenuti intranei alle cosche Raso-Gullace-Albanese e Gagliostro-Parrello. Sofio infatti, avrebbe gestito le imprese riconducibili alle consorterie mafiose ed era considerato dalla Dia l’accompagnatore e “telefonista” del boss Carmelo “Nino” Gullace, mentre la Grutteria sarebbe stata, secondo gli inquirenti, a completa disposizione delle cosche di Palmi.
Facendo un breve excursus storico sulla vicenda, tutto è iniziato a luglio del 2016 (leggi QUI) con una una raffica di arresti richiesti dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Ordinanze di custodia cautelare che erano state eseguite in Liguria, Calabria, Lazio, Piemonte ed in altre Regioni del nord Italia dalla Polizia di Stato e dalla Dia.
In particolare 42 misure cautelari – 34 in carcere, 6 ai domiciliari e 2 interdittive dall’esercizio di un pubblico ufficio-, emesse dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, a carico di soggetti considerati affiliati e contigui alla ‘ndrangheta delle cosche reggine “Raso-Gullace-Albanese” e “Parrello – Gagliostro”. Tutti indagati, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni e società (QUI la notizia dell’assoluzione di Roberto Orlando e della sorelle Fazzari).
Un’inchiesta che aveva aperto uno squarcio sul grande interesse delle cosche per diversi settori strategici della Liguria, confermando, così come la sentenza e le relative condanne, il ruolo chiave della nostra Regione nelle dinamiche e negli interessi della ‘ndrangheta del nord Italia.