Appena pochi giorni fa, il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani aveva aperto al nucleare in Italia definendo gli “ambientalisti radical chic peggio della catastrofe climatica”. E oggi è arrivata la replica piccati dei Verdi savonesi. Di seguito la lettera, a firma di Gabriello Castellazzi, riportata integralmente.
Grazie al referendum del 1987 l’Italia è stata tra i primi paesi industriali avanzati ad uscire dal nucleare. Solo in Spagna una prima “moratoria” era stata decisa nel 1983.
Nel 2000 la Germania programmò una exit strategy dalla produzione di energia elettrica da atomo entro il 2020.
La decisione degli Italiani ( ribadita con un secondo referendum nel 2011 ) ha evitato all’Italia di ipotecare il futuro dei propri figli e nipoti per gli enormi costi legati alla sicurezza e al contenimento-smaltimento di tutte le scorie radioattive delle centrali nucleari che utilizzano uranio.
Le fonti energetiche che dipendono da questa tecnologia sono in declino sullo scenario mondiale. Dal 2000 nessun nuovo reattore è entrato in funzione, due sono ancora in costruzione a costi esorbitanti e l’azienda “Toshiba-Westinghouse”, proprietaria della tecnologia, è fallita qualche anno fa.
L’unico “irriducibile” di questa industria obsoleta e pericolosa sembra essere il “Ministro della Transizione Ecologica” Roberto Cingolani. Il nucleare non è la risposta. Le iniziative innovative in materia di produzione energetica negli Stati Uniti vengono proprio dalla “democratica” California e dagli Stati “repubblicani trumpiani” (Florida e Texas) dove le aziende private (tra cui una importante italiana) investono in impianti solari con megabatterie capaci di rilasciare nelle ore serali e notturne parte della sovraproduzione di energia rinnovabile.
Oggi, a 35 anni dal terribile incidente di Chernobyl e a 10 anni dall’incidente di Fukushima, è ben chiaro a tutti come non esistano le garanzie necessarie per l’eliminazione del rischio di incidenti nucleari con le inevitabili contaminazioni radioattive.
Sono anche ben noti i problemi legati alla contaminazione “ordinaria” delle centrali nucleari in seguito al rilascio di piccole dosi di radioattività durante il loro normale funzionamento (i lavoratori e le popolazioni che vivono nei pressi, sono esposti direttamente). Un altro problema, non risolto, è lo smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall’attività delle centrali e dal loro smantellamento.
La vicina Francia, che ha puntato molto sul “nucleare”, oggi è in crisi: le sue centrali ormai vecchie e pericolose devono essere demolite, ma non sanno dove mettere 1,54 milioni di metri cubi di materiali radioattivi già accumulati nel tempo.
Le circa 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotti fino ad oggi nel mondo sono in attesa di essere conferiti in siti di smaltimento definitivo (stoccati oggi in depositi “temporanei” o lasciati negli stessi impianti dove sono stati generati).
Lo stesso vale ovviamente per il nostro Paese che conta, secondo l’inventario curato da Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e dei servizi tecnici), circa 25mila m³ di rifiuti radioattivi e 250 tonnellate di combustibile irraggiato (pari al 99% della radioattività presente nel nostro Paese) a cui vanno sommati circa 1.500 m³ di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria.
Tutto questo materiale è attualmente stoccato in 90 capannoni o bunker distribuiti in varie Regioni (20 nel Lazio, 16 in Piemonte, 10 in Lombardia, ecc.). Per il futuro bisognerà poi pensare ai circa 80-90mila m³ di rifiuti che deriveranno dallo smantellamento di quello che resta delle 4 nostre ex-centrali, compresi gli impianti utilizzati nel ciclo del combustibile nucleare.
Oltre ai problemi legati alla sistemazione definitiva delle scorie, esiste la necessità di rendere inutilizzabile il materiale fissile di scarto per evitarne il possibile uso a scopo militare: in uno scenario mondiale, dove il terrorismo globale è una minaccia concreta, bisogna anche considerare che dal trattamento delle scorie si può estrarre plutonio (materia prima per la costruzione di armi a testata nucleare).
Infine, ovunque nel mondo, gli impianti nucleari attivi possono diventare obiettivi sensibili per i terroristi e nell’attuale quadro mondiale, fortemente instabile, si corre il rischio di trovarci di fronte a paesi che, sfuggendo al controllo della comunità internazionale (v. caso Iran), il nucleare civile potrebbe essere utilizzato come grimaldello per dotarsi di armamenti nucleari.
Questa è la realtà di oggi e il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani dovrebbe attuare provvedimenti urgenti per la riduzione dei combustibili fossili, potenziando le fonti di energia alternativa, invece di sviare i problemi ipotizzando tecnologie nucleari di quarta generazione (si presume la cosiddetta “fusione fredda” senza scorie radioattive) sulle quali da decenni i fisici stanno facendo esperimenti. Questa tecnologia, se aplicata, sarebbe veramente rivoluzionaria. Ma quanto si dovrà aspettare per vedere risultati concreti?
Gabriello Castellazzi -Europa Verde-Verdi savonesi
Simona Simonetti – Dott.ssa in Fisica – già Ricercatrice al CERN di Ginevra