Commento

Il Festival Teatrale di Borgio Verezzi: un’idea geniale e lungimirante che dura da 54 anni

Marcella Rembado: "La storia va raccontata bene e tutta, è nato da un’intuizione geniale di mio padre "

Borgio Verezzi. “Che il Festival Teatrale di Borgio Verezzi viva ancora mi rende felice. Che sia sopravvissuto in questi ultimi due difficili anni anche. Quello che mi rattrista e mi lascia interdetta invece è vedere costantemente sminuire o denigrare il passato e i suoi inizi senza una ragione”.

A dirlo è Marcella Rembado, fondatrice dell’associazione “Il barone rampante” e figlia d’arte di Enrico, storico sindaco di Borgio Verezzi e creatore del Festival teatrale.

“Sto assistendo – afferma – , soprattutto in occasione di quest’ultima campagna elettorale, ad attacchi gratuiti e neanche troppo sibillini all’operato teatrale di mio padre Enrico Rembado e delle persone che con lui hanno avuto nel 1967 non un’idea, frettolosamente e goffamente sintetizzata da qualcuno come ‘banale e fragile’, ma un’intuizione geniale e lungimirante, quasi visionaria che sopravvive ancora oggi, da cui è nato questo festival, che in 34 anni e non certo negli ultimi 20 anni è diventato l’evento nazionale di cui ancora oggi stiamo parlando”.

“Quanto ho scritto lo devo a mio padre Enrico Rembado e a tutti i componenti del Comitato Manifestazioni Folcloristiche e Culturali di Borgio Verezzi di allora, presieduto da Maria Rossi Valentinotti, che in quei tempi, in cui Borgio Verezzi non compariva neanche sulle cartine, hanno fortemente creduto in questa geniale intuizione – continua la professoressa -. Io ero bambina e me li ricordo tutti. Ho vissuto un’infanzia privilegiata grazie a loro. Non ci sono ‘ragnatele’ da togliere sull’eccezionalità degli spettacoli di Gabriele Lavia, Giorgio Albertazzi e di Valeria Moriconi (solo per citarne alcuni), se non per farne rinascere e rivivere gli splendori, come credo si possa sperare di fare ancora oggi, in un’epoca certo economicamente più difficile, senza sacrificare però la qualità, la poesia, la tradizione, l’eccellenza, l’apertura alla contemporaneità, all’avanguardia e alle giovani anime emergenti, per un taglio commerciale e puramente ‘manageriale’, descritto solo dalla quantità di numeri ridondanti e ubbidiente soprattutto alle leggi di mercato. E lo scrive la figlia di uno che ha rischiato e ha saputo guardare lontano, fino a qui”.

“La storia va raccontata bene e tutta, sempre, perché è utile al futuro – aggiunge -. Sapere bene le origini e le scelte d’avanguardia durate più di 30 anni, che facevano venire pubblico critici e attori da tutta Italia, fa bene anche ai posteri. Ogni cosa ha una sua origine e se dura 30 anni ha anche un marchio di fabbrica che non si può non mettere davanti al prodotto. Credo che i testimoni vadano ascoltati sino a che la storia avrà un valore etico morale e di progresso. E che la Storia vada raccontata dalle sue nobili origini. ‘L’inclusione’ di cui si parla in questi giorni, è forse semplicemente rispettare la grandezza di un passato per riuscire a guardare davvero e con ottimismo ad un futuro innovativo”.

“Come raccontò mio papà: ‘Nel lontano 1965 mi recai in piazza Sant’Agostino per un sopralluogo legato al terremoto avvenuto mesi prima. Insieme a me c’era l’allora prefetto di Savona Moscato e quasi per scherzo iniziammo a lanciarci la voce da un lato all’altro della piazza: fu una prova di acustica dagli esiti fantastici”, conclude Marcella Rembado.

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