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Per un pensiero altro

Il complesso della Sfinge

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero Altro 4 agosto 2021

“L’uomo è per la donna un mezzo: lo scopo è sempre il figlio. Ma cos’è la donna per l’uomo? Due cose vuole un vero uomo: pericolo e gioco. Perciò vuole la donna che è il giocattolo più pericoloso” scrive Friedrich Wilhelm Nietzsche nel passo “Di donnicciole vecchie e giovani” contenuto nella prima parte dello Zarathustra. Non mi interessa, in questa sede, avventurarmi nell’annosa polemica intorno alla misoginia o meno di Nietszche, preferisco indirizzare la riflessione su un arcaico rapporto tra il maschile ed il femminile che, mi sembra, ben si espliciti nell’incontro di Edipo con la Sfinge. La Sfinge, che ben incarna il mistero del femminile, interroga Edipo, un uomo dal futuro segnato, un uomo destinato a grandi imprese ed alla conseguente fama, ma compagno della tragedia. Edipo non è né un dio né un eroe, è il più alto esempio di “homo tragicus”, sfida il proprio destino ed incontra una difficoltà ancora maggiore, trovare la soluzione del più grande e terribile enigma, l’uomo, quindi, lui stesso, oltretutto propostogli subdolamente da un inquietante femminino, la Sfinge, appunto.

L’interrogativo posto dalla Sfinge vuole essere risolto? Trovare la soluzione e rispondere correttamente significa dimostrare che il logos può “mettere ordine e risolvere l’enigma dell’esistenza” ed è quello che sembra riuscire tragicamente ad Edipo. La Sfinge è il Kaos che si mostra terribile e calmo agli occhi spaventati dell’uomo, se questo non dovesse riuscire nell’impresa verrebbe reinghiottito e scomparirebbe nel nulla, o meglio, nell’uno che è “ogni possibile specificità indistinta”. Antesignano di Pinocchio che riesce ad emergere dal ventre della balena (in origine un pescecane) ma solo per cadere sotto le grinfie, ancora una volta un destabilizzante femminino, della fata-strega Turchina che lo inghiotte nel magma mutevole della moltitudine dell’umanità, regalandogli il serpente a sonagli del sapersi un bambino, ma questa è una via non percorribile in questa sede, torniamo ad Edipo. Edipo è il singolo che, presa coscienza di sé, saputosi uomo, si fa carico dell’orribile destino che la Terribile Madre, la Sfinge, l’Essere, la volontà dell’Eterno, hanno già deciso per lui. Eppure sembra essere il suo agire che lo determina: siamo profondamente calati nell’angoscia del libero arbitrio, il più subdolo inganno della Sfinge. Edipo è per antonomasia uomo tragico, filosofo e peccatore, ribadendo la stretta connessione che unifica le tre figure in ciò che è l’uomo reale nella sua essenza più intima. Homo tragicus perché subito dopo essersi saputo uno, aver avuto principio, si è guadagnato il terribile “diritto alla morte”; filosofo poiché non si è accontentato di esser-ci ma ha voluto comprendere, risolvere enigmi, vedere ciò che lo avrebbe accecato; peccatore perché infrange le regole, in particolare “la regola prima: non negare l’essere affermando io sono”. Infrazione che verrà reiterata nell’incesto, padre e fratello dei propri figli e, sottolineiamo l’orribile simbologia, reinghiottito dal ventre che lo aveva generato.

La Sfinge vince nel momento in cui Edipo la sconfigge. Il suo progetto, o forse solo la sua inconsapevole e incontrollabile volontà, prende forma, Edipo, l’uomo, diviene portatore del peccato che non poteva non commettere. Antesignano anche di Adamo, vittima delle oscure manovre del Creatore disposto ad allearsi, o servirsi, anche del Serpente pur di ottenere il suo scopo, cacciare il peccatore da quell’Eden che gli aveva offerto e che, per sua scelta o responsabilità, ha perduto. Il tragico destino di Edipo si va definendo: un breve periodo di gioia, appagamento fisico, crescita di potere, insomma, la giovinezza, lo accompagna verso l’orrore che ancora non riesce a vedere: il suo agire apparentemente glorioso ha donato all’umanità la disperazione. La fuoriuscita dell’uno dal magma dell’inconscio, quello che Anassimandro ha così espresso in una sintesi formidabile nel frammento 1: “principio delle cose che sono è l’illimitato donde le cose che sono hanno la generazione, e là hanno anche il dissolvimento secondo la necessità. Infatti esse pagano l’una all’altra la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”, questo è l’itinerario tragico di Edipo e dell’umanità. Se il tutto inconsapevole, l’inconscio globale, è il femminile, ecco che il maschile è l’io che afferma se stesso. Evidentemente non stiamo utilizzando indicatori genitali ma filosofici e forse è questa la prospettiva più utile a comprendere anche il pensiero del grande filosofo tedesco e dell’aforisma di apertura.

Nella mitologia greca sempre il femminile è il principio e la regola, anche e soprattutto quando lascia che ad agire sia un maschio convinto di essere protagonista della scelta. Sarà sufficiente andare col pensiero per un attimo al rapporto tra Uranos, Gea e Cronos, ma, di nuovo, torniamo ad Edipo. Nel suo caso il femminile, una volta apparentemente sconfitta la Sfinge e liberatosi dalla sua minaccia, è rappresentato dalla madre-amante: Giocasta. Sia colta la mia affermazione cum grano salis, ma numerose sono le madri, specie nella tipologia mediterranea, che, come Giocasta, trattengono il maschio nella condizione di figlio, ne ostacolano una reale emancipazione e, quanto spesso, si uniscono a uomini che tendono ad accudire più come figli che come mariti. Diverse letture del mito delle origini tratteggiano, come paradigma del femminile, una divinità che conserva il proprio figlio come amante e come figlio, Grande Madre che lo reinghiotte con atto d’amore. Possiamo davvero riconoscere la responsabilità della vicenda esclusivamente nell’eroe tragico Edipo? Per certo gli dei, che come sempre tutto sapevano, decidono di punire la città di Tebe con una “pandemia” e la colpa ben presto sarà palesemente riconosciuta nella condizione di peccatore in cui versa, inconsapevole, è vero, il re della città, sempre Edipo. Non va trascurato che sarà lo stesso re che vorrà “vedere” la verità su quanto sta accadendo alla sua città, lo stesso che deciderà di accecarsi, di tornare nel buio rassicurante e deresponsabilizzante dell’utero materno. Una riflessione approfondita meriterebbe anche il suicidio di Giocasta, ma non ora.

Infine, qual era il giocattolo pericoloso per Edipo: la Sfinge o la madre? In ogni caso il malcapitato è divenuto un mezzo per la prima per realizzare il suo progetto e per la seconda che ha potuto amarlo come solo una madre può fare e come solo una donna può desiderare. Ancora una volta più domande che risposte, ma non è questo fare filosofia … vivere?

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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