Pensiamoci

Intervista

Carrozzino (Asl2): “Affrontare in modo diverso i problemi dei giovani. Non lasciamoci ingannare dalla cronaca, spesso sono splendidi”

Parla il direttore del Dipartimento salute mentale e dipendenze: “Progettiamo nuovi spazi e nuovi percorsi che facciano di Savona una città all’avanguardia”

carozzino asl 2

Savona. Ce ne sono di cose da chiedere al dottor Roberto Carrozzino, da marzo direttore (dopo il pensionamento di Carlo Vittorio Valenti) del Dipartimento salute mentale e dipendenze della nostra Asl, l’Asl 2. Un ruolo strategico per Savona, perché si occupa di patologie importanti, delle figure più fragili e comunque di tanti cittadini, a cominciare dai giovani.

Avevamo cominciato da cronisti (forse un po’ troppo, con quella che si sarebbe rivelata una certa superficialità) con una domanda sulle bande di ragazzi scatenati che troppo spesso creano problemi nelle nostre città.

Ne è scaturito invece un quadro ben diverso, allargando appena appena lo sguardo al di là dei fatti di cronaca e puntando infine l’obiettivo sulle cose da fare per avere una visione moderna di questi problemi: i nostri giovani sono fantastici, non va dimenticato che certi episodi si sono purtroppo sempre verificati, il lockdown ha ovviamente accresciuto la gravità dei problemi (anche in famiglia), occorre imprimere una svolta al lavoro del Dipartimento pensando a percorsi appropriati per le diverse problematiche, persino luoghi di cura nuovi che perdano l’aspetto di ambienti sanitari. Ce n’è a sufficienza per ricapitolare con ordine.

Dottor Carrozzino, costituiscono un allarme tutti questi episodi di violenza giovanile?
“In realtà determinati fatti accadevano già in passato, e non voglio citare episodi eclatanti di molti anni fa per non rendere riconoscibili i protagonisti. Dobbiamo discutere e differenziare il ruolo di famiglia, scuola, sanità, perché non tutto deve finire in quest’ultimo ambito, da preservare per chi davvero ne ha bisogno. Certo, rispetto al passato dobbiamo fare i conti con le insidie della rete, con le sostanze stupefacenti che sono diverse e più pericolose, con ragazzi che si isolano letteralmente nella loro camera con i loro devices e ovviamente con il lockdown che ha tenuto prigioniere tante energie impedendo le semplici attività motorie di prima. Per questo anche noi dobbiamo differenziare la nostra ‘offerta'”.

Ci spieghi meglio.
“Molte situazioni di pericolo si verificano attorno ai 14/15 anni, a volte anche prima, e lì dobbiamo agire con i nostri specialisti . Devo parlare per forza un po’ da tecnico: dobbiamo valutare chi e perché ha bisogno di cure, indirizzarlo anche in spazi diversi da quelli ordinari, dove si incontrano giovani con esigenze troppo differenti. Per questo abbiamo iniziato ad esempio a progettare spazi in centro che non facciano pensare a luoghi della sanità. Quindi scendono in campo i nostri operatori multidisciplinari per scandagliare situazioni e problemi vecchi e nuovi. Poniamo la famiglia: è noto che una buona separazione è meglio di una convivenza prolungata fra i litigi, ma il lockdown ha spesso costretto a coesistere in ambienti privi di armonia ed affetto”.

Tutto arriva sulle vostre spalle?
“Probabilmente è la sensazione anche di altre istituzioni, ma spesso ci sembra proprio così. Ci sono genitori, comunque congiunti, che portano il ragazzo al pronto soccorso, altri che si affidano alla giustizia perchè il loro ragazzo sia “indirizzato” alla cura. Si devono delimitare bene i confini tra tutti questi ambiti, non si può delegare sempre agli altri“.

Abbiamo accennato nel nostro preambolo che lei ha molta fiducia nei giovani di oggi.
“Certo che si. La stragrande maggioranza è in gamba, per questo invitavo a non lasciarsi ingannare dalla pur grave cronaca quotidiana. Pensiamo solo alla sensibilità che hanno per l’ambiente, per i più deboli, a quanti ricorrono a intelligenti percorsi di formazione o si cercano una strada anche all’estero, a come sanno maneggiare l’innovazione”.

Concludendo, l’aspetta un lavoro duro. Come intende affrontarlo?
“Ripeto, dobbiamo continuare a rinnovarci. Dobbiamo creare strutture e percorsi nuovi, come ho detto, disegnare piani di cura appropriati per chi ne ha bisogno. Il Dipartimento deve lavorare per funzioni, non con articolazioni a scatola. Un’ultima cosa importante: la centralità del territorio messa a nudo con la pandemia, dagli ambulatori all’attività a domicilio al ruolo insostituibile dei medici di famiglia”.

Per tutto questo ci vorrà un impegno forte e convinto dell’Asl.
“Soffriamo la carenza di medici specialisti come accade in tutta Italia. Nel Dipartimento lavorano infermieri, assistenti sociali, tecnici di riabilitazione psichiatrica, educatori, oltre ovviamente a dirigenti medici e psicologi. Il Direttore Generale Marco Damonte Prioli è ben conscio di tutto questo, con lui abbiamo pensato alle progettualità di cui ho parlato e che deve costituire per Savona una risorsa della Sanità che veda al centro i giovani, senza trascurare gli altri pazienti che invecchiano, per una città all’avanguardia”.

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