L’Avis Cairo accoglie tra i suoi donatori Marcella Prandi, campionessa nella disciplina del nuoto di salvamento. Nella nazionale dal 2002, vanta un palmares costellato di titoli europei e mondiali.
Il nuoto per salvamento è una disciplina che ha più di due secoli, nata per divulgare, con la pratica del Nuoto, l’addestramento al salvamento e al pronto soccorso. Comprende gare in piscina, mare e laghi, si articola su diverse prove individuali e/o staffette. Il tutto è finalizzato a simulare agonisticamente una situazione di salvataggio in acqua. Uno sport con una forte valenza sociale, orientato al servizio del prossimo, che insegna tecniche preziose in situazioni di emergenza.
Le analogie con la donazione sono molte: un gesto per salvare una vita, al servizio del prossimo. In occasione della sua prima donazione abbiamo scambiato due chiacchiere ripercorrendo alcuni momenti della sua carriera agonistica.
Qual è stato il tuo primo approccio con lo sport? Come sei arrivata alla disciplina del salvamento?
Ho iniziato a nuotare fin da bambina, all’età di 3 anni. A 6-7 anni ho iniziato con le prime gare. La svolta nella mia carriera è stata quando all’età di 11 anni ho cambiato allenatrice: abbiamo iniziato ad affiancare alle gare di nuoto “tradizionali” le gare di nuoto per salvamento. La coincidenza tra le date delle competizioni mi ha portato a privilegiare il salvamento perché è una disciplina più varia e divertente e perché mi ha permesso di girare il mondo.
Cosa ami di più di questa disciplina?
Quello che amo di più di questa disciplina è la varietà delle prove e la possibilità di gareggiare sia in piscina che in mare, e soprattutto la sua valenza sociale, perché al di là dell’agonismo e del divertimento, si apprendono tecniche utili per il soccorso.
Hai mai dovuto metterle in pratica con qualcuno queste tecniche?
Una volta al mare a Bergeggi: il mare era molto mosso e un signore si trovava nei pressi della Boa dei 200 metri, parecchio in difficoltà e non riusciva più a tornare a riva. Siamo andate io la mi allenatrice e un nostro amico che nuotava anche lui con noi e l’abbiamo soccorso.
Hai collezionato numerosi titoli durante la tua carriera: qual è la medaglia, l’esperienza di gara a cui sei più legata?
La medaglia a cui sono più legata è l’Oro vinto ai mondiali ad Adelaide nel 2012 nella disciplina della staffetta in mare. Non era mai accaduto per l’Italia, è stata la prima medaglia d’oro vinta nelle gare in mare, semplicemente indimenticabile. In piscina l’Italia è molto forte, in mare non era mai successo.
Un ricordo di Sidney?
Sydney è stata la mia prima convocazione per un mondiale, nel 2000. Mi è rimasta nel cuore: nel 2005 sono tornata in questa città e ci sono rimasta per un mese.
Cosa ti ha portato a scegliere di diventare donatrice?
Mi ha sempre affascinato la possibilità di aiutare qualcuno, motivo per cui ho scelto di dedicarmi al salvamento. Avere mio marito tra i donatori è stata quella spinta in più che mi ha convinto a donare.
Trovi qualche analogia tra la tua esperienza di atleta e la donazione?
Il mio sport ha una forte valenza sociale, in entrambi i gesti trovo la voglia di salvare una vita.
Un consiglio per le giovani leve del nuoto?
Il mio consiglio non vale solo nel nuoto ma in qualunque aspetto: ci vuole la testa ben salda sul collo, perché è con la testa che si va lontano. Ovviamente il fisico, nello sport, deve seguirti, però la prima cosa è la determinazione e la concentrazione su un obiettivo, e fare di tutto per raggiungerlo.