Albenga. Cause naturali, triste fatalità. È questo l’esito delle indagini dei pm sulla morte di Emanuel Scalabrin, 33enne albenganese, arrestato durante un’operazione antidroga il 4 dicembre lo scorso e deceduto durante il sonno nella camera di sicurezza della Compagnia dei Carabinieri di Albenga.
Fin da subito l’ipotesi era stata quella di una morte naturale, ma per escludere in modo inequivocabile la possibile esistenza di altre cause la magistratura aveva aperto un fascicolo con l’ipotesi di omicidio colposo. E in attesa dei risultati dell’autopsia, aveva avviato le indagini per verificare che a causare la morte del 35enne non fossero state presunte percosse subite dai carabinieri, come dichiarato da un amico arrestato insieme a Scalabrin, o una dose errata di metadone somministrata all’ospedale Santa Corona la sera del suo arresto.
Il 35enne, infatti, durante quella notte in carcere, su richiesta degli stessi carabinieri, era stato visitato due volte, sia dalla guardia medica che dal pronto soccorso, perché aveva accusato i sintomi di una crisi di astinenza. In ospedale gli era stato somministrato del metadone, medicinale per cui aveva la prescrizione. Alle 11 del 5 dicembre scorso, quando i militari si sono recati nella camera di sicurezza per il trasferimento in carcere, è stato trovato senza vita.
Emanuel Scalabrin, uno dei quattro indagati (tutti italiani) arrestati dopo un blitz a Ceriale con diverse accuse dallo spaccio alla detenzione abusiva di armi alterate, si trovava ancora nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri di Albenga, in quanto le strutture di Imperia non accettano nuovi ingressi dopo le ore 20.
A finire in manette insieme a Scalabrin anche Paolo Pelusi che durante l’interrogatorio aveva raccontato agli inquirenti di presunte violenze subite. Violenze per cui, però, i sostituti procuratori della Repubblica Chiara Venturi ed Elisa Milocco non hanno trovato riscontro durante le indagini.