Un po’ di tempo fa mi ero occupata degli enormi scandali collegati alla cosiddetta “Fabbrica dei Veleni”, l’ACNA di Cengio . Scandali legati alla salute di migliaia di persone che hanno perso la vita, e non solo, negati e tentati di insabbiare a più non posso dai “piani alti”, per non dire altissimi.
Oggi parlerò di un’altra fabbrica che non ha niente da invidiare all’ACNA: l’ex Ilva di Taranto, oggi chiamata ArcelorMittal.
Aperta ufficialmente nel 1965, nel quartiere Tamburi, con una superficie totale di circa 15.450.000 metri quadrati, lo stabilimento nacque dalla “fusione” delle principali società operanti nel settore siderurgico italiano del primo novecento.
In alternativa alla città di Taranto, si pensò, per la sua ubicazione, anche a Vado Ligure. Si scelse poi il comune pugliese prevalentemente per motivazioni politiche, ma anche per via delle sue aree pianeggianti e vicine al mare, la disponibilità di calcare, di manodopera qualificata, nonché alla sua ubicazione nel Mezzogiorno d’Italia, con annessa possibilità di creare posti di lavoro e di usufruire di contributi statali per tale obiettivo.
L’Ilva era un colosso nella produzione di acciaio e contava circa 50mila dipendenti. Questa realtà industriale andò a coprire tutta la produzione nazionale di ghisa e il 58% di quella dell’acciaio. Ma, non inaspettati, iniziarono poi i guai giudiziari.
Trent’anni fa avvenne la prima inchiesta legata all’inquinamento. Una casalinga residente nel quartiere Tamburi, esasperata perché costretta a raccogliere ogni giorno dosi massicce di una fastidiosa polvere rosa sul suo balcone, chiese alla magistratura di indagare sull’origine di quella sostanza. Nel giro di vent’anni si scoprì che dietro quella polvere non si nascondeva solo sporcizia, ma una vera e propria strage.
In tredici anni (1998-2010) sono morte a Taranto 386 persone (diventate migliaia negli anni successivi) per colpa delle emissioni industriali. Tra queste, tanti, troppi bambini, che si sono ammalati molto più del solito.
Gli operai della fabbrica sono stati vittime di tumori allo stomaco o all’ulcera. I cittadini residenti nei quartieri popolari nei pressi dell’Ilva, condannati a vite brevi solo perché vivevano nel luogo sbagliato. Questa faccenda per fortuna non restò silenziosa ma finì in tribunale, dove sul tavolo del giudice spuntavano le ufficiali correlazioni dei medici tra le sostanze prodotte dall’Ilva e le malattie e morti delle persone.
Nel 2012 il GIP di Taranto dispose il sequestro, senza possibilità di utilizzo, dell’intera area siderurgica. Nell’ordinanza egli concluse che “Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Ne seguirono i seguenti arresti: Emilio Riva, presidente dell’Ilva Spa fino a maggio 2010, suo figlio Nicola, succedutogli nella carica e dimessosi pochi giorni prima dell’arresto, Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento.Ivan Di Maggio e Angelo Cavallo, responsabili di due importanti reparti all’interno della fabbrica. Accuse a loro carico: disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. La fabbrica fu “bonificata”, riportata, teoricamente, a livelli normali di emissioni delle sostanze nocive, e rimessa in attività.
Nel 2018, sulle ceneri dell’ex Ilva, nasce, dopo alcuni passaggi di proprietà, la ArcelorMittal, che costituisce sempre il maggior complesso industriale per la lavorazione dell’acciaio in Europa. Ha altre sedi a Genova, a Novi Ligure e a Racconigi, in Piemonte. Ma, nonostante quanto sopra scritto, dalle poche notizie accessibili in merito, l’inquinamento sembrerebbe non essere diminuito così tanto.
Ed è qui che arriviamo ai giorni nostri. Dal 24 marzo al 7 aprile scorsi, infatti, su Canale 5 è stata trasmessa una fiction interpretata da Sabrina Ferilli, dal titolo “Svegliati amore mio”. In questa serie viene narrata la vicenda di una fabbrica pugliese responsabile di diverse morti e malattie, in particolare tra i bambini, per via di fumi tossici emessi dall’acciaieria, che si depositano nel quartiere popolare in cui è ubicato lo stabilimento, proprio sotto forma di una strana polvere rosa.
A questo punto avviene un fatto sconcertante: due operai della ArcelorMittal condividono un post su Facebook invitando a guardare la fiction con la Ferilli. Risposta dell’azienda: sospesi entrambi. Uno dei due, Riccardo Cristello, licenziato, l’altro no, poichè si è scusato pubblicamente con l’azienda. Si sono messi in moto i sindacati, che hanno indetto uno sciopero, definendo l’accaduto un “gravissimo attacco alla democrazia e in particolare alla libertà di espressione e opinione”. Stando alle ultime notizie, i dirigenti dell’acciaieria sarebbero disposti ad accogliere di nuovo il dipendente, a patto che chieda scusa pubblicamente, cosa che lui non intende fare perché sostiene di non aver fatto niente di male.
Effettivamente, che cos’avrebbe fatto di tanto grave questo dipendente se non esprimere la sua opinione in merito ad una fiction televisiva? Oltretutto il signor Cristello è sempre stato un lavoratore ineccepibile: dipendente dell’azienda da diversi anni, non aveva mai fatto un’assenza e si era sempre comportato responsabilmente.
Potrebbe essere, piuttosto, che i grandi dirigenti del colosso dell’acciaio si siano sentiti toccati sul vivo, o peggio, questo semplice post su Facebook abbia innescato in loro la paura che venga fuori qualcosa che dovrebbe invece restare taciuto? Forse lo scopriremo con il tempo. Forse no. Di certo la questione è abbastanza sconvolgente.
“Nera-mente” è una rubrica in cui parleremo di crimini e non solo, scritta da Alice: clicca qui per leggere tutti gli articoli