Analisi

Titanio dal Beigua, i Verdi savonesi contrari all’ipotesi: “Porterebbe solo danni”

Castellazzi: "Sconcerto per le dichiarazioni sulle ipotetiche enormi ricadute economiche"

monte tarinè beigua

Savona. “Doppia sorpresa degli ultimi giorni: sono state autorizzate dalla Giunta Toti prospezioni geologiche finalizzate all’apertura di una miniera di titanio all’interno del Parco del Beigua e sono stati successivamente pubblicati autorevoli inviti a considerare gli stratosferici vantaggi economici che sarebbero derivati alla Liguria dallo sfruttamento di tali risorse naturali”. Lo scrive, in una nota, il portavoce della Federazione dei Verdi della provincia di Savona Gabriello Castellazzi.

“La prima sorpresa – spiega – deriva dal fatto che esponenti di rilievo della Giunta Toti si sono nello stesso tempo dichiarati ‘assolutamente contrari a qualsiasi ipotesi di miniera all’interno o all’esterno del Parco’. Domanda: chi governa in Liguria? La seconda sorpresa riguarda l’ennesima dichiarazione (che ha avuto una certa risonanza sui media locali) con invito a ‘ragionare sulle enormi ricadute positive derivate da una miniera di titanio, in grado di risollevare l’economia ligure’. Anche questa affermazione merita un approfondimento perchè se l’ interesse economico esiste, è del privato, mentre i danni certamente ricadono ancora una volta sulla collettività. Nel 1974 venne fatta una prima richiesta di estrazione del minerali di titanio nei pressi del Beigua. La concessione venne rilasciata nel 1976, ma fu fortunatamente bloccata dopo pochi mesi, prima dell’inizio dei lavori. La roccia contenente titanio è il “rutilo” e il processo per la sua lavorazione (frantumazione, lavaggio, ecc.) richiede impianti complessi che per funzionare hanno bisogno di enormi quantità di energia elettrica e acqua. I tecnici sono consapevoli (per primi i geologi) della pericolosità dei fanghi residui (il 95% della roccia estratta) contenenti amianto. I materiali di scarto, provenienti dal monte Tarinè, dovrebbero essere in un primo tempo stoccati nell’area di Pianpaludo, poi trasportati in luoghi sicuri, molto lontani”.

“Quale ‘investitore qualificato’ si impegnerebbe a trasferire (non si sa dove, con quali mezzi e con quali costi) le enormi quantità di fanghi tossici, eseguendo poi su di loro le necessarie operazioni di disinquinamento? Che cosa resterebbe, per i secoli futuri, dello straordinario “Parco del Beigua”?
Chi è in grado di quantificare, in prospettiva, tutte le ricadute negative derivanti da una distruzione ambientale irreversibile? – prosegue Castellazzi -. Una seria analisi costi-benefici dovrebbe anche considerare, per il futuro, il calo di presenze turistiche e le conseguenti perdite di lavoro nell’indotto. Per una valutazione completa è necessario guardare al contesto internazionale: I minerali contenenti titanio si trovano distribuiti in diverse parti del mondo (è il quinto elemento più abbondante sulla crosta terrestre). Secondo stime recenti la loro produzione sarebbe questa : Cina (100.000 ton/anno), Russia (45.000), Giappone (40.000), Ucraina (10.000). In Australia il “rutilo” viene addirittura estratto da materiale sabbioso spostato con enormi “ruspe” e dopo le lavorazioni i detriti residui vengono accantonati in ambienti semi-desertici. In Europa i depositi di ‘rutilo’ più importanti si trovano in Norvegia dove, effettuata l’estrazione, i fanghi di scarto vengono trattati in modo sommario, in prossimità del mare”.

“Il titanio – precisa l’esponente dei Verdi – ha effettivamente un ottimo mercato perchè è un materiale che resiste benissimo alla corrosione; è utilizzato per produrre pigmenti bianchi, schermi antifumo, ecc.. In lega con altri elementi (acciai speciali, ecc.) viene usato per realizzare componenti leggeri di veicoli spaziali, motori a reazione, impianti medici (protesi articolari, dentali, ecc.), telefoni cellulari, gioielli, ecc. e per questi motivi è molto ricercato.
In Italia non ci sono industrie attrezzate per lavorare il “rutilo” e non sono disponibili le enormi quantità di energia elettrica necessarie alla separazione del titanio (processo Kroll). L’impresa più vicina, attrezzata per ottenere il prodotto finito, è la Società ‘Du Pont’. Questa azienda si trova però in Francia e avrebbe tutti gli utili di questa operazione (circa 600 miliardi di euro) a fronte di ipotetiche royalities di concessione difficilmente quantificabili. In sostanza, al termine di questo saccheggio ambientale rimarrebbe in Liguria soltanto un territorio distrutto e un tessuto economico definitivamente compromesso”.

“Oggi tutti i governi civili, nell’ ottica di sviluppo eco-sostenibile, ritengono necessario risparmiare le risorse della Terra e promuovere finalmente l’economia circolare – afferma Castellazzi -. Per salvaguardare le risorse naturali di titanio sarebbe utile realizzare nuovi impianti di riciclo per i suoi rottami dai quali si ottiene un recupero di circa il 90% del prezioso metallo. In Italia già operano in questo settore alcune ditte che, ampliando le attività, protrebbero dare nuove opportunità di lavoro stabile. La Liguria non può sopportare di essere ulteriormente “divorata” e, rivolgendoci al passato, possiamo dire semplicemente che “ha già dato”. Nel Comune di Ne, Val Graveglia (località Gambatesa) oggi ‘Parco Naturale dell’Aveto’, nel 1876 venne aperta la miniera di manganese più importante d’Europa. Ma nel 1971 queste estrazioni furono bloccate perchè anti-economiche e dal 2016 le sue gallerie sono diventate un interessante “Museo minerario”. Il ‘Trenino dei minatori’ (una grande attrazione turistica) percorre in piena sicurezza circa 30 Km. di gallerie e guide preparate illustrano ai visitatori le straordinarie caratteristiche geologiche del sito. Si potrebbe continuare con l’elenco di altre miniere, attivate nel passato in Liguria per ricavare argento, oro, ferro, magnesio, ecc., ma i luoghi di estrazione oggi hanno soltanto un valore storico, con la possibilità di diventare interessanti mete turistiche. Il consumo irreversibile del territorio ligure riguarda inoltre il delicato problema delle cave a cielo aperto (numerose quelle di pietra calcarea per l’edilizia, il “marmo Portoro” a La Spezia, ecc.)”.

“E’ di oggi la decisione del Comune di Toirano di chiudere la cava di pietra calcarea. La vicenda delle cave a cielo aperto di ‘Pietra di Finale’ si è conclusa solo alcuni anni fa. Ben diversa l’attuale situazione delle “cave di ardesia” in Val Fontanabuona, dove l’estrazione avviene soltanto in galleria.
Tenendo conto che l’ ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha censito in Italia circa 3000 siti minerari (tra storici e recenti) è più che mai indispensabile valutare con grandissima attenzione l’impatto ambientale che, in prospettiva, comporterà questo tipo di attività sul territorio” conclude Castellazzi.

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