Caso costituzionale?

Spese pazze in Regione, tutti assolti: il vulnus di “eliminare” un sindaco prima della fine dell’iter giudiziario

Coinvolti tra gli altri Marco Melgrati, Antonino Miceli, Roberta Gasco ed Edoardo Rixi

Alassio, Marco Melgrati torna sindaco

Alassio. Sono stati tutti assolti “perché il fatto non sussiste”, cioè perché non hanno commesso alcun reato, i consiglieri regionali (di tutte le forze politiche di allora) accusati delle “spese pazze” in Regione nel periodo 2010/2012. La Corte d’Appello di Genova ha infatti ribaltato la sentenza di primo grado, che al contrario li condannava tutti.

Si parla di cene, pranzi, viaggi, regali di valore non elevato ma che avevano portato all’accusato di peculato e di conseguenza, in base alla legge Severino, alla sospensione dalla carica elettiva di ciascuno. In sede di cronaca troverete su Ivg i dettagli della sentenza e tutte le reazioni.

L’interesse del lettore savonese si sofferma sui nomi di Marco Melgrati, Antonino Miceli, Michele Boffa e Roberta Gasco oltre che del capogruppo della Lega ed esponente nazionale del partito Edoardo Rixi. Le motivazioni della sentenza chiariranno ulteriormente il perché delle assoluzioni.

Ognuno degli imputati merita uguale rispetto per le sofferenze politiche e personali che ha sofferto in questi lunghi anni, tipici della giustizia italiana (compresi gli attacchi dei giustizialisti di turno), ma a molti sembra che il caso più emblematico possa essere considerato quello del sindaco di Alassio Marco Melgrati per la passione e la coerenza che ha sempre mostrato nella sua difesa, assieme al suo avvocato Franco Vazio.

Stamane Melgrati si è subito detto “stupito e commosso”. Stupito forse perché neppure lui sperava nell’assoluzione piena, puntando magari a una derubricazione dall’accusa di peculato a quella di uso improprio dei fondi o ancora per averli spesi in modo improprio per errore, in modo da evitare la sospensione. Parliamo di 3800 euro, e va da se’ che una cifra così irrisoria non poteva – a rigor di logica – finire nel tritacarne della legge Severino di cui tratteremo più avanti.

La condanna in primo grado è costata a Melgrati una sospensione di 18 mesi dalla carica di sindaco di Alassio: rientrò sul suo scranno alla mezzanotte dell’ultimo giorno, senza attendere un minuto in più.

Si è detto anche commosso, Melgrati, perché si sentiva vittima di un processo politico non tanto a se stesso quanto a un’intera classe dirigente e oggi può respirare l’aria della fine di un incubo. “Tra l’altro – ha detto – sono alla trentaquattresima assoluzione, che credo sia un record. Per quanto riguarda quest’ultimo procedimento, ero assolutamente certo di non aver commesso i reati dei quali ero accusato, oltre che essere ovviamente a posto con la mia coscienza di uomo e di politico”.

La legge Severino, dicevamo. Risale al 6 novembre del 2012 e prende appunto il nome da Paola Severino, ministra della Giustizia nel governo tecnico di Mario Monti, rimasto nella memoria dei più per il caso degli esodati di Elsa Fornero. Intendeva fare in modo che un pubblico amministratore fosse rimosso dal suo incarico già dopo la condanna di primo grado, evidentemente nello spirito di impedirgli di portare avanti politiche di malaffare.

Ma la Costituzione italiana prevede che ogni cittadino sia ritenuto innocente fino al terzo grado di giudizio, e infatti più volte la legge Severino è stata accusata (invano) di incostituzionalità.

L’unica considerazione favorevole – diciamo così – alla legge Severino consiste appunto in quell’esigenza di stroncare il prima possibile il malaffare, legata soprattutto alle lungaggini della giustizia italiana. Ma pure questa tesi può facilmente ritorcersi contro: è lo Stato a essere responsabile dei procedimenti troppo lunghi, non il cittadino, pubblico amministratore o non che sia.

L’avvocato Franco Vazio, anche se con toni misurati, chiama in causa, partendo dal caso del suo assistito Melgrati, il vulnus di sospendere qualcuno da una carica elettiva senza valutare merito e gravità. “È necessaria una riflessione”, conclude.

Tradotto, non si può far decadere un sindaco liberamente eletto per 3800 euro, senza attendere la fine dell’iter giudiziario. Considerazione che, debitamente adeguata, vale anche per tutte le altre persone coinvolte in quest’ennesima vicenda che non fa onore alla Giustizia del nostro Paese.

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