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Liguria del gusto

Dalle nocciole al “re” castagno: i tesori del bosco ligure tornano alla ribalta

"Liguria del gusto e quant'altro" è la rubrica gastronomica di IVG, ogni lunedì e venerdì

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Coltivare il bosco, dicevano i vecchi, ed avevano ragione, perchè il bosco, prima ancora del campo, è stato per la Liguria, la più importante fonte di reddito e sussistenza. Serviva per avere il legno, necessario per costruire navi e utensili, per ottenere il carbone che serviva a riscaldarsi, ma anche e far funzionare fucine e vetrerie, per avere un “pane sicuro”.

Ancora oggi, siappure in maniera marginale, esiste una economia del bosco che, negli ultimi anni, dopo un secolo di declino, sta tornando alla ribalta. Tralasciando l’economia del legno, importante, concentriamoci sugli alberi e i loro frutti.

Come le nocciole, che nel Ponente, non famose come la tonda gentile delle Langhe o come il “misto Chiavari” del Levante ligure, raccontata ed esaltata in un agile libretto dello storico della civiltà materiale Sergio Rossi, stanno prendendo piede (nel senso che alcuni imprenditori stanno impiantandole) in Valle Arroscia, soprattutto tra Vendone e Pieve di Teco. E’ la nocciola da “u cullaru russu”, il collare rosso, più allungate della cugina langarola, ottima per fare il sugo di nocciole (certo, si era gente povera, la carne non c’era, le nocciole la sostituivano per una lunga cottura in salsa di pomodoro ed erbe aromatiche), o per accompagnarle al fegato, assieme alla cipolla. “Le persone vogliono un ritorno al passato, il sugo di nocciole è tra i più richiesti”, spiega Massimo Revello, patron di un agriturismo a Vendone.

Ma l’indiscusso re dei boschi rivieraschi è il castagno, vero “pane” per generazioni di liguri, al punto che in dialetto il castagno è chiamato “l’arberu”, l’albero. Sconfitto, una volta per sempre, il cinipede,  temibile parassita che, attorno al 2008, ha invaso i castagneti liguri e messo in ginocchio la raccolta delle castagne e la loro trasformazione  grazie alla lotta integrata, le castagne sono tornate di attualità, non solo per il paesaggio, ma anche per l’economia dell’entroterra. I numeri, nelle province di Imperia e Savona, sono da qualche anno in crescita. Nelle province di Imperia e Savona le zone più vocate alla raccolta e alla lavorazione delle castagne (le qualità sono i prestigiosi marroni, siappure in quantità limitata, e la gabbiana, dolce e gustosa) sono la Val Bormida e, nell’imperiese, Castelvittorio, Montegrosso Pianlatte, le Valli Arroscia e Argentina, Carpasio, Badalucco ma anche Sanremo sulle alture di San Romolo. “A Calizzano e Murialdo le castagne seccate nei tecci sono Presidio Slow Food.

Il punto è che la castagna dei tecci, che ha un buon valore economico, amplifica le sue potenzialità se lavorata come confettura, come farina per biscotti e paste, come ingrediente per la birra. Come per tutti i prodotti liguri bisogna farli conoscere e promuoverli”, commenta Luca Ghisolfo, responsabile del Presidio, coltivatore e trasformatore di castagne secche. I numeri sono interessanti, mentre le castagne fresche non hanno quasi mercato, quelle secche valgono, nelle province di Savona e Imperia, almeno 800 mila euro. “Come detto il valore aggiunto è la trasformazione, la vendita della farina di castagne, richiesta dalle pasticcerie, ma anche dai pastifici. In questi ultimi anni, infatti, c’è stato un vero boom della pasta fresca con farina di castagne per piatti della tradizione ligure, dalle trofiette ai corzetti, dalla lazarene di Vendone  ai tagliolini.

Il Presidio, da parte sua, si è dotato di un mulino e siamo riusciti a fare una farina con granulometria più adatta ad essere impastata, ma stiamo lavorando per andare ancora avanti”, dice ancora Ghisolfo. I numeri del Presidio parlano di 50 quintali di castagne secche prodotte ogni anno, è plausibile che in tutta la Riviera arrivino a 100 quintali, ma l’obiettivo è quello di creare un “turismo della castagna”. Ancora Ghisolfo: “Il castagneto permette passeggiate, può diventare teatro di rappresentazioni, dobbiamo puntare su un diverso utilizzo del bosco, dopo la pandemia sarà un imperativo”.

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