Savona. Una mortalità per cause naturali nell’area di Tirreno Power, rispetto al resto del territorio, superiore del 49%, sia tra i maschi che tra le femmine. Con incrementi ancora più alti per quanto riguarda i tumori e le patologie legate al sistema respiratorio. E’ quanto emerso oggi in Tribunale a Savona nell’ambito del processo a carico di Tirreno Power per il quale sono imputati 26 persone, tra vertici e dirigenti dell’azienda, rinviati a giudizio per disastro ambientale e sanitario colposo.
Ad essere ascoltato dai giudici è stato Fabrizio Minichilli, epidemiologo dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e autore di un articolo, pubblicato nel 2019 sulla rivista Science of the Total Environment, incentrato proprio sulla possibile correlazione tra le emissioni di Tirreno Power e le patologie tra i residenti. L’articolo traeva origine da un rapporto depositato (uno studio commissionato da Regione Liguria e concluso nel 2017) che si proponeva di indagare proprio sulla relazione tra gli inquinanti atmosferici emessi da Tirreno Power e il rischio di mortalità e ricovero sul territorio per patologie selezionate secondo la letteratura scientifica.
Minichilli ha illustrato la metodologia utilizzata: un metodo osservazionale-analitico che ha preso in considerazione le analisi di 12 Comuni, ricostruendo anche le storie dei singoli residenti malati. “La forza dello studio – ha spiegato in aula – è stata proprio la capacità di avere i dati delle esposizioni a livello individuale. Il modello si è basato sulle mappe degli inquinanti di Arpal Liguria, ‘correggendo’ i dati tenendo conto anche della presenza di inquinamento urbano, portuale e di altre fabbriche. L’effetto quindi è stato stimato ‘al netto’ di altre fonti di inquinamento“. Non solo: si è tenuto conto anche di eventuali altri fattori di rischio legati allo stile di vita dei soggetti studiati (145 mila), per mezzo di un indice di natura socio-economica
Le patologie considerate sono state quelle collegate dalla letteratura scientifica all’inquinamento atmosferico, in particolare alle emissioni di SO2 (preso come riferimento per l’inquinamento da centrale a carbone) e NOx (surrogato dell’inquinamento da traffico), nonché con un periodo di latenza compatibile con il follow-up disponibile (dal 2001 al 2013). Considerato anche (ma solo a fini descrittivi) il tumore del polmone.
“I risultati – ha detto in aula il testimone – hanno evidenziato eccessi di mortalità per tutte le cause in entrambi i sessi. Il rapporto tra il rischio di mortalità nell’area più esposta rispetto a quella meno esposta indica, nella classe più esposta, un 49% di mortalità in più per cause naturali”. Minichilli ha poi dato lettura dei dati per le singole patologie e categorie, facendo emergere incrementi ancora maggiori per tutto ciò che riguarda il sistema respiratorio (+90% di mortalità tra i maschi per patologie associate, +62% tra le femmine) e i tumori: +59% nella classe più esposta per quanto riguarda quelli a bronchi, trachea e polmoni, +119% nei maschi e +48% per quelli del tessuto linfatico.
Dati inferiori ma significativi anche per ciò che riguarda le patologie a sistema nervoso e cardiocircolatorio. A rafforzare il legame anche l’analisi del “trend” di rischio: passando da una classe di esposizione alla successiva, lo studio rileva infatti un incremento graduale e costante della mortalità. QUI altri dettagli.
Già all’epoca della sua diffusione, l’azienda contestò quello studio etichettandolo come “vecchio” e smentito “dai dati reali pubblicati nel luglio del 2018 nel documento ufficiale dell’Osservatorio salute e ambiente della Regione Liguria. E’ necessario ricordare che l’osservatorio nato proprio per verificare l’impatto ambientale e sulla salute della centrale di Vado Ligure ha concluso le indagini escludendo in modo chiaro e documentato qualsiasi impatto dell’impianto. L’Osservatorio ha già esposto in modo netto le proprie conclusioni dopo avere esaminato tutti gli studi, compreso quello del CNR“.
In seguito sempre l’azienda rilevò come la presenza nell’atmosfera del tracciante utilizzato dallo studio, ossia l’SO2, non sia variato in modo sostanziale dopo la chiusura dell’impianto nel 2014, esprimendo dunque dubbi sulla validità delle conclusioni del Cnr.