Savona. I “suoi” ragazzi iniziano ad ammalarsi di Covid e lei, per evitare che vengano inviati in altre strutture alterando la loro routine quotidiana, decide di “rinchiudersi” nell’appartamento in cui vivono trascorrendo l’intera quarantena con loro, senza mai tornare a casa. E’ la toccante storia di Nadia Canavese, coordinatrice della struttura “Pal Uno” di via Paleocapa a Savona, appartenente alla Cooperativa Il Faggio e adibita ad ospitare persone con disabilità.
Dopo aver ottenuto il consenso del direttore sanitario e dell’Asl2, la donna è rimasta, da sola, a vivere nell’alloggio in cui lavora quotidianamente da 20 anni. Nadia, invece di tornare a casa propria, ha preferito accudire i ragazzi e permettergli di trascorrere il periodo di isolamento nella loro casa abituale, occupandosi 24 ore su 24 di tutte le loro necessità e rimanendo con loro per tre settimane, aiutata per la somministrazione dei farmaci dal personale infermieristico autorizzato a entrare a orari prestabiliti. Finendo ovviamente per risultare lei stessa positiva al Covid-19, come 18 dei 20 ospiti.
A raccontare la vicenda è Giovanna Campidori, presidente del comitato delle famiglie: “Gli ospiti erano già chiusi in struttura, infatti noi parenti in questo ultimo anno li vediamo esclusivamente tramite videochiamate. Ormai è da un anno che non incontro mia figlia. Hanno vissuto questa quarantena in modo tranquillo e sereno. Lei ha fatto l’angolo bar con la macchinetta del caffè, ha fatto anche dei laboratori, ha cercato di distrarli in tutti i modi possibili”.
“I nostri congiunti hanno potuto passare queste tre settimane senza accorgersene grazie alla sua dedizione e volontà – prosegue – A nome di tutti i familiari ho apertamente ringraziato in una lettera il lavoro svolto dalla coordinatrice del centro”.
Se la dipendente non avesse preso questa decisione, gli utenti di Pal Uno si sarebbero trovati da un giorno all’altro trasferiti temporaneamente altrove. Si sarebbero dovuti adeguare a un nuovo personale e a nuovi ambienti, differenti da quelli in cui vivono e che loro percepiscono come “casa” e non come struttura.
“Nel corso degli anni passati – si legge nella lettera di ringraziamento – i parenti degli ospiti hanno avuto modo di apprezzare lo spirito di abnegazione e grande senso di responsabilità della signora Canavese. I nostri congiunti, grazie al suo impegno costante, hanno potuto trascorrere momenti ludici di gioia e godere di esperienze di ‘normalità’. Ricordo le feste organizzate all’interno del centro, erano abituati a prendere quotidianamente al bar il caffè, venivano organizzate gite ed escursioni, sono stati a Gardaland e al concerto di Emma Marrone, alle partite di calcio. Un anno fa sono anche riusciti a fare una mini crociera nel Mediterraneo”. Un primo esperimento che si sarebbe dovuto replicare quest’anno e che, giocoforza, è stato necessario rimandare a quando l’emergenza pandemica sarà cessata.
“Anche nel corso di questa triste vicenda – ripete la presidente del comitato – le famiglie sono riuscite a conservare una certa tranquillità perché sapevano che i loro parenti potevano contare sull’assistenza e sulla presenza rassicurante della signora Canavese. Ha sempre dato molto senza chiedere e ricevere nulla a parte il nostro affetto e la nostra stima”.