Per un pensiero altro

Eros, Himeros e Anteros

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero Altro 10 febbraio

“È una necessità della specie umana rimuovere dalla coscienza che il verbo amare non può che essere transitivo”. A seguito delle considerazioni espresse in “Ma perché dare al sole” in un libero commento ai versi leopardiani ho ricevuto molte considerazioni e commenti per i quali ringrazio tutti indistintamente, tutti, non solo chi era d’accordo con la prospettiva indicata. Intanto grazie di esistere a chiunque si consenta di dedicare una piccola porzione del proprio tempo a riflettere ed a produrre un’idea per il solo piacere che nasce dal pensiero speculativo non pragmatisticamente finalizzato all’agire: peculiarità dell’essere umano che lo differenzia dall’animale. Ho dovuto registrare, tra le numerose osservazioni pervenutemi, una sola eccezione negativa, un commento feroce e volgare nei confronti di una opinione espressa da una mia lettrice. È fisiologico nel numero che possa capitare ma è triste, sono diventato vecchio sopravvivendo a ben altro, non sarà questo a censurarmi, si sa che possono esserci simili individui, come definirli? Incapaci al confronto, arrogantemente certi del loro punto di vista come verità assiomatica, propensi a far tacere o a non ascoltare. Credo che in italiano un essere siffatto possa essere descritto da una parola composta solo da consonanti dure, sibilanti dentali o fricative e da sole poche vocali, due, direi. Detto questo a doverosa difesa dell’incolpevole lettrice passiamo a raccogliere l’intelligente provocazione che attraversava tutti gli altri contributi.

Una precisazione relativa alla consueta citazione d’apertura: mi stavo sfogando con l’amico Gershom Freeman per l’arroganza del commento di cui sopra e ben presto la conversazione si è innervata su uno dei nodi comuni ad un gran numero delle osservazioni pervenutemi. Credo, ma non posso saperlo con certezza, che provenissero da genitori o da persone che stavano pensando alla scelta di generare prima o poi un figlio. Lo credo poiché il filo rosso che lega, in numerose diverse sfumature, le varie considerazioni è che l’atto della procreazione è sempre e comunque un atto d’amore. Difficile immaginare che un genitore pensi a mettere al mondo un figlio in maniera diversa, ovviamente tralascio l’esiguo numero di atti generativi involontari o “stupidamente a-consapevoli”, sono una percentuale, mi auguro, irrilevante e, comunque, non utile al nostro argomentare. È in quel contesto che Gershom, come gli piace fare io credo in bilico tra Eraclito e Nietzsche, ha affermato quanto ho riportato. Non che voglia essere il suo esegeta, ma lo spunto è gravido! Va diviso in due momenti diversi: il primo è la transitività dell’amare, cioè l’imprescindibile esistenza dell’oggetto d’amore sul quale far “transitare” il nostro sentimento; il secondo è la necessità di dimenticarlo sottolineando che tale urgenza è “della specie”. Come non tornare al pensiero caustico di Schopenhauer? Credo che per il genitore sia bello e addirittura indispensabile pensare che il desiderio di generare un figlio sia un atto di altruismo e d’amore nei confronti dello stesso e del partner con il quale si è pensato di concepirlo. Va anche detto che le attuali possibilità di una procreazione diversa da quella biologica convenzionale non vanno a compromettere il bisogno di leggere tale desiderio come “altruistico”. Ma se ha ragione Gershom la domanda diviene: è possibile amare un figlio che non esiste se non nel nostro desiderio? Non è, in effetti, un atto d’amore verso noi stessi, cioè verso ciò che desideriamo?

Posso capire che, lungo questa prospettiva, sia lecita la sollevazione dei genitori che si sentono accusati di egoismo, sentimento dalle connotazioni negative, in relazione all’atto più bello e d’amore di cui sono capaci. Intanto va precisato che esiste un egoismo che è teso ad affermare i propri interessi e fini senza nemmeno comprendere le esigenze altrui, anzi, con la totale disponibilità a prevaricarle pur di ottenere il proprio obiettivo, ed un egoismo naturale teso alla ricerca della propria felicità. Inevitabilmente semplifico ma spero che il tutto venga colto criticamente ma cum grano salis: desiderare dissetarsi in un giorno di sole è rispondere ad un bisogno egoistico? Certo che no se non sottraggo la brocca dell’acqua ad un altro ma addirittura condivido la mia, magari dopo averne gustato. Fare un figlio lo è? La questione si complica, sto inevitabilmente decidendo per chi non può esprimere alcuna opinione, ed ecco il senso della necessità della specie ed il riferimento implicito a Schopenhauer. La specie deve sopravvivere o, per dirla con il filosofo, è espressione della cieca volontà di esistere. È evidente che, se ci si ponesse l’interrogativo da parte del futuro essere umano la questione sarebbe complessa: può chi “non è” “essere” tanto da desiderare o meno di “divenire”? Tralascio ovvie considerazioni circa il fatto che chi non è non può né volere né non volere e che, una volta al mondo, è stupido proporre “se non ti piace la vita puoi rinunciare”, l’istinto di sopravvivenza non è scelta, non concede libero arbitrio, è il servofreno della natura, la “garanzia surrettizia” introdotta dalla volontà nel “contratto non scritto” dell’esistenza.

A questo punto è indispensabile una, seppur breve, riflessione sul concetto di amore. Una interessante considerazione è la differenza tra amore ed amare sottilmente espressa nei versi: l’amore è il cerchio/amare, il poligono inscritto/più intenso e vissuto/più numerosi i suoi lati. Ma è bene tornare a uno dei numerosi commenti di cui sopra e mi piace riportare un passo di Enrico Messori, spero non me ne voglia di averlo nominato esplicitamente, che si sofferma sul pensiero greco sottolineando la differenza tra Eros che necessita di Anteros e, cito testualmente, “storghé, l’amore familiare: l’amore per i figli, per esempio, forma d’amore che, al pari dell’agàpe, la caritas latina, non ha bisogno di essere corrisposta per mantenersi viva e crescere”. Questo ci porta al mito di Afrodite che, dopo aver generato Eros, è disperata nel dover constatare che il piccolo bellissimo e sano, non cresce. Si rivolge allora ad Era, dea della famiglia e della natalità, (in altre versioni alla saggia Teti) la quale le suggerisce di generare un secondo figlio e di chiamarlo Anteros. Così fa la dea e ben presto può verificare la fondatezza del consiglio, i due bambini cresceranno insieme in bellezza e salute. É importante precisare che Anteros significa amore corrisposto. Il problema a questo punto è: siamo certi che storghé non necessiti di essere corrisposto? In realtà “il Poeta” afferma: “amor, ch’a nullo amato amar perdona” … troppi hanno fatto esperienza sulla propria pelle di quanto sia infondata la certezza dantesca.

Mi sembra interessante puntualizzare che Eros ha anche un altro fratello che, almeno alle origini, nell’opera omerica per esempio, non era distinto da Eros, si tratta di Himeros, la follia della passione, il desiderio assoluto, proprio quella molla che, nella prospettiva schopenhaueriana, garantisce la componente irrazionale a fondamento della sopravvivenza della specie e dell’affermazione assoluta della volontà. E non posso esimermi dal citare provocatoriamente il caro amico Nietzsche: “L’uomo è per la donna un mezzo: lo scopo è sempre il figlio. […] Mai ho trovato donna dalla quale volessi avere figli, all’infuori di questa donna che amo: poiché io ti amo, o eternità!” Ma sarebbe estremamente interessante sapere cosa potrebbe dirci al riguardo Lou Von Salomé.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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