Rosso pistacchio

La fontana

"Rosso Pistacchio" è la rubrica al femminile di IVG: ogni martedì si parla di donne con Marzia Pistacchio

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A me del calcio non me ne è mai importato un fico secco. Mi piacevano i libri e i dischi, fumare un po’ di erba, la birra, gironzolare con gli amici.
Amici maschi, specifico, perché le femmine mi guardavano solo per scherno. Come biasimarle? Arrancavo per la mia misera vita di diciottenne savonese con lo stesso andamento serafico e inquietante di una mantide in un prato di ricci di castagno.
Una mantide maschio, ovviamente, e si sa, quelle povere bestie non hanno fama di vivere una vita molto felice.

A me del calcio non è mai importato un fico secco ma nel 1982, e precisamente l’11 luglio del 1982, non poteva che importartene molto.
A bagno, nella fontana, con la bandiera che a tratti ti copriva il viso e la maglietta fradicia avviluppata ad un corpo morbido di dea, c’eri tu.
Tu.
ri tu e in quel momento è stato chiaro che eri tu, e saresti stata tu molto a lungo.

In piedi, appoggiato al tettuccio della 126 azzurra di Carmine Zavoli, mio compagno di avventure, le grida, i clacson, gli inni e le bandiere sventolavano in un silenzio assordante, mentre il mio cuore tentava di trovare un ritmo che non lo facesse spappolare in mille pezzi.
Quella sera ti piombai addosso zuppo, gridando “Italia, Italia!!” mentre l’uomo e lo squalo ci guardavano ci sottecchi, sornioni, quasi complici nella loro faccia di piombo.

“Com’è che ti chiami??”
“Medea!”
“E che nome è??”
“Ma niente, mio padre, è fissato con la mitologia!”
“Io Fausto!”
“Fausto? Papà amante di Goethe?”
“Ma no. Fausto come Fausto Coppi!”

E quella sera ti baciai, Medea, e sapevamo entrambi di acqua salmastra della fontana del pesce, ma le tue labbra mi sembrarono di ciliegia, di panna e di coca cola.
E quanti baci ti ho dato, Medea, sotto l’occhio severo dell’uomo e il muso incavolato dello squalo.
A volte erano baci teneri, altri assomigliavano a morsi, altri erano cerotti per ferite che mi facevi e che ti facevo. Mi parevi felice. A volte. Mi parevi totalmente con me. A volte.

Medea dai capelli rossi e dagli occhi di giada, mi mangiavi il cuore a morsi ogni volta che sparivi. Per giorni. A volte mesi. Avevo fame di te. Avevo sete di te. Medea la mia malattia. Medea la mia cura. Ti aspettavo, seduto sul cordolo della fontana, ogni lunedì. Quando perdevo le speranze tu tornavi, quando iniziavo a frequentare una ragazza, tu tornavi. A reclamare il tuo osso.
Un po’ più magra, un po’ più lontana, ma sempre tu.

E poi nulla di nuovo.
Mi dicevano che avrei potuto trovarti in alcuni vicoli del centro storico, e io giravo cercandoti, come un mendicante impazzito, come una mantide senza testa e senza senno, col terrore di incrociarti tra quegli occhi senza volontà, e la voglia di incrociarti per portarti via.
Rifiutavo dosi, scavalcavo scheletri vestiti di jeans, pozze di vomito, siringhe.
“Vattene”.
Ti vedevo le ossa.
“Fausto, vattene”.
Medea occhi di giada e braccia da eroina.
“Vattene, coglione! Sparisci per sempre!”.

Per qualche anno sono andato ogni lunedì. Lo squalo era perplesso. L’uomo sconsolato.
Coi piedi a penzoloni, lo scroscio della fontana nelle orecchie, mi chiedevo se fossi morta, Medea, e a volte, mi è anche parso di vederti comparire nella calura di qualche giornata di agosto.
Poi niente più acqua. E non ti ho aspettata più.
Ma oggi hanno promesso che l’acqua tornerà e mi avvio alla fontana, col mio passo da vecchia mantide sopravvissuta.

“Fausto? Sei tu?”
Medea. Rughe, fili bianchi tra i capelli e occhi di giada.
“Sono io. Come Goethe”.
“O come Coppi?”.
Ed ecco di nuovo l’acqua.

“Rosso Pistacchio” è la rubrica di Marzia Pistacchio, che ama definirsi “una truccatrice struccata”. Ogni martedì uno spazio al femminile dal taglio volutamente “leggero” in cui parlare a 360 gradi di tutto ciò che ruota intorno alle donne. In salsa savonese, naturalmente. Clicca qui per leggere tutti gli articoli

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