Nera-mente

Omicidi sotto l’albero. I peggiori crimini avvenuti a Natale

"Nera-Mente" è la rubrica di Alice, appassionata di criminologia

Nera Mente 12 dicembre

I giorni  delle festività natalizie sono quelli in cui tradizionalmente ci si riunisce in famiglia, si ritrovano le persone care e, quasi automaticamente, si fa il bilancio degli affetti e delle lacune della propria vita. Per alcuni individui, però, può essere il momento peggiore. Quello, per esempio, in cui portare a termine il proprio distruttivo piano omicida, perché la solennità di quella data lo renda memorabile. Per questo, tra gli altri, il giorno di Natale è quello che annovera tra i più inquietanti delitti a sfondo familiare della storia del crimine.
Eccone alcuni.

LA STRAGE DI COVINA

Ci troviamo a Covina, nella periferia di Los Angeles, in una bella villa. È il 24 dicembre 2008. Durante una festa di Natale, una famiglia sta brindando serena. Fino a quando dalla porta non entra un uomo vestito da Babbo Natale. Che in mano, però, non tiene il classico sacco pieno di regali, bensì un lanciafiamme ed una pistola semiautomatica 9 millimetri. L’uomo in questione si chiama Bruce Jeffrey Pardo. Appena entrato nella villa, l’uomo spara immediatamente alla nipotina di otto anni, corsagli incontro per salutarlo, ferendola in volto. La bimba sarà l’unica presente in casa a salvarsi. In seguito al panico seminato, comincia a sparare all’impazzata contro gli altri partecipanti, che nel frattempo si danno alla fuga. L’obiettivo di Pardo è Silvya, la ex moglie, dalla quale aveva ottenuto il divorzio pochi giorni prima, alcuni mesi dopo essere stato licenziato da un’azienda dove lavorava come ingegnere elettrico. L’uomo, dopo aver ucciso otto persone, tra cui gli ex suoceri e l’ex moglie, e dopo aver dato fuoco alla casa, si rimette in macchina: aveva pianificato di fuggire, ma sulle braccia è pervaso di ustioni di terzo grado e questo probabilmente lo costringe a cambiare piani. L’indomani Bruce Jeffrey Pardo sparerà anche a sé stesso, togliendosi la vita.

IL MASSACRO DELLA FAMIGLIA LAWSON

Sempre in America, a Germanton, nella Carolina del Nord, molti anni prima avvenne un tremendo massacro. La storia rosso sangue della Lawson Family è una sorta di racconto dell’orrore che si tramanda di padre in figlio.
Anno 1929. I Lawson sono una numerosa famiglia di braccianti della campagna. Il capofamiglia, Charlie Lawson, e sua moglie Fannie, pochi giorni prima di Natale, si sono recati in città con i sette figli (di età compresa tra i due e i diciassette anni, più la neonata Mary Lou) per comprare alcuni vestiti. Fatto che non accadeva nell’ordinario, ma questa volta la famiglia vuole immortalarsi in un bel ritratto.

Famiglia Lawson

Poche settimane dopo, proprio il giorno di Natale, Charlie, nascosto nella cascina del fieno, esplode alcuni proiettili uccidendo la secondogenita Marie e la piccola Maybell, di sette anni. Segue poi l’uccisione di sua moglie Fannie, con una raffica di pallottole, nel portico della loro casa di campagna. All’interno, i piccoli Raymond e James (due e quattro anni), uditi gli spari, tentano di nascondersi, ma invano. In pochi attimi il padre li scova e li fredda. Infine viene il turno della piccolissima Mary Lou. I corpi vengono ritrovati con le braccia incrociate sul petto e con delle pietre sotto la testa. Ad eccezione del figlio maggiore della famiglia, Arthur, che era stato mandato dal padre a fare una commissione la sera prima dell’uccisione. È lo stesso Arthur, l’unico superstite di questa strage, a dare l’allarme. Charlie non si trova, ma poche ore dopo viene ritrovato anche il suo corpo: si è ucciso sparandosi nei boschi vicini.
Non si è mai compreso il movente della strage, fino a quando, moltissimi anni dopo, nel 1990, un libro dal titolo “White Christmas, Bloody Christmas” scritto da una cugina della famiglia, non ha svelato una scioccante verità. Secondo alcuni familiari dei Lawson, infatti, ci sarebbe stata una relazione incestuosa tra il padre Charlie e la secondogenita Marie, che avrebbe addirittura avuto in grembo un figlio suo, al momento del delitto.

IL DRAMMATICO ENIGMA DEI SODDER

Siamo a Fayetteville, nel West Virginia, USA. È la notte della Vigilia di Natale del 1945. I Sodder sono una famiglia numerosa, di origini italiane, così composta: George e Jennie e i loro dieci figli, la cui età va dai tre ai ventitre anni. In casa si respira una meravigliosa aria natalizia, ma fuori è più triste: il mondo è appena uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, che ha lasciato dietro di sé una scia di morte e devastazione.
Quella sera, la famiglia è intenta a spacchettare i regali. È ancora presto quando mamma Jennie, molto stanca, decide di andare a dormire, lasciando i figli ai loro pacchetti, con la promessa che prima di andare a letto metteranno tutto in ordine. A mezzanotte saranno tutti tra le braccia di Morfeo. Pochi minuti dopo, però, squillerà il telefono: la signora Sodder risponderà, trovando dall’altro capo del filo la voce di una donna che le chiederà di un uomo sconosciuto. Alla risposta di Jennie di non conoscere la persona in questione, dal ricevitore uscirà una risata agghiacciante.
Poco dopo, un sinistro rumore sul tetto. I due coniugi hanno poco tempo per accorgersi che la casa sta andando a fuoco. Non riescono a trovare i figli, essendo l’abitazione già pervasa dalle fiamme e, disperati, escono. Al mattino, quando albeggia, i due genitori sono pronti a recuperarne i cadaveri. Ma restano scioccati: dei bambini non c’è nessuna traccia. Solo a quel punto i Sodder capiscono che la telefonata e l’incendio non erano altro che un diversivo per rapire i bambini. I ragazzi Sodder non sono mai stati, purtroppo, ritrovati, e si è spaziato da teorie di ogni genere per motivarne la scomparsa. La più accreditata sembra vedere coinvolta la mafia italiana: George è attivo nel trasporto di carbone, che da sempre fa gola a Cosa Nostra.
Prima di morire i genitori dei ragazzi hanno eretto, in loro onore, un monumento con un monito: “Non è mai troppo tardi per indagare”.

“Nera-mente” è una rubrica in cui parleremo di crimini e non solo, scritta da Alice, studentessa ed aspirante criminologa: clicca qui per leggere tutti gli articoli

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