Genova. Avrebbe evitato il crollo del viadotto Morandi la realizzazione del retrofitting, il cui bando era stato messo a gara da Aspi tre mesi prima della tragedia del 14 agosto 2018. Lo scrivono nero su bianco i periti del gip Angela Nutini rispondendo a un quesito specifico.
“L’esecuzione di indagini finalizzate ad acquisire un quadro conoscitivo più rispondente alla realtà dei fatti avrebbe consentito di evidenziare l’anomalia esistente in sommità della pila 9; l’esecuzione dell’intervento, per come riportato negli elaborati progettuali, avrebbe evitato il crollo con elevata probabilità” . Giampaolo Rosati e Stefano Tubaro del Politenico di Milano, Massimo Losa e Renzo Valentini dell’ateneo di Pisa ricostruiscono nelle quasi 500 pagine di perizia tutta la storia del ponte Morandi dove emergono sì difetti di costruzione e dove nel corso degli anni sono mancate soprattutto corrette ispezioni e interventi pesanti di manutenzione almeno sulla pila 9.
Morandi stesso aveva richiamato più volte l’attenzione sul rischio di corrosione in particolare in una relazione datata 1981 in cui il progettista del ponte proponeva evidenziava “la necessità urgente di un intervento di restauro, per non compromettere la consistenza statica dell’opera”, e proponeva “un piano generale di restauro che riguardava, in particolare, il reintegro delle armature nelle nervature degli impalcati tampone, il ripristino delle superfici di calcestruzzo degradate”. Per quanto riguarda in particolare i tiranti, l’ingegner Morandi evidenziò la necessità dell’accurata ispezione ravvicinata, “a contatto di mano”, del controllo dell’acciaio a mezzo di ispezioni con raggi X” per poi intervenire
Ma per i periti sono proprio i controlli successivi che sono mancati così come gli interventi. Il Morandi è crollato per la corrosione dei cavi di uno strallo lato sud della pila 9, che hanno determinato il veloce cedimento dell’intera struttura (“La rottura di un tirante provoca la rottura della simmetria che attiva il collasso” spiegano i periti. E la corrosione è stata la conseguenza della scarsa manutenzione che a sua volta deriva da inadeguati controlli e ispezioni. Questa è la catena di cause secondo i periti.
“La frequenza di ispezioni diagnostiche con presa visione diretta dello stato delle pile e degli stralli è stata davvero modesta. Se si esclude l’accurato lavoro svolto sulla Pila 11, peraltro palesemente ammalorata già nei primi anni ‘90 e comunque sottoposta a un pesante intervento di ripristino, sorprende l’esiguità di dette ispezioni nelle pile 9 e 10 e relativi stralli nei circa 25 anni successivi agli importanti lavori del 1993”.
Fra l’altro, sottolineano i periti, “Tali indagini, anche se condotte con logiche non sempre congruenti tra loro e pur nell’esiguità delle prove veramente significative, evidenziavano già da molti anni la presenza di difetti di iniezione nei sistemi delle pile-stralli con un’alta probabilità di perdita della funzionalità di progetto prevista dal Prof. Morandi, proprio in relazione alla funzione protettiva esercitata dall’iniezione nei confronti dei possibili rischi corrosivi dei cavi del Ponte”.
Tra le carte della perizia emerge un dettaglio, particolarmente inquietante. Dopo un lungo intervallo di ben 18 anni dai lavori del 1993, nel 2009 si ritrova nei documenti disponibili una nuova ispezione Sea intitolata “Stralli lato mare indagini diagnostiche.
“Di tale documento colpisce una prima pagina scritta a mano nella quale si legge tra l’altro quello che evidentemente risulterà poi l’esame del cemento con un commento sulla Pila 9 dichiarata “+ brutto del 10”, chiaro il riferimento ai risultati della prova stessa”.
“Non furono effettuate, o almeno non si trova traccia in tal senso, prove simili a quelle effettuate nel triennio 90-92, in particolare indagini dirette sullo stato dei cavi di precompressione”.