Ponente. Doveva essere un fermo scolastico della durata di pochi giorni quello delle scuole Paccini di Albenga, ma è scattato il lockdown nazionale e per i ragazzi delle superiori stop alla scuola in presenza per passare alla didattica a distanza. Gli studenti non sono più rientrati nelle loro aule. Ragazzi che arrivando dalle medie hanno fatto il loro ingresso nelle prime superiori, studenti che avevano appena iniziato a conoscere i nuovi compagni e i professori.
Come vivono queste limitazioni? Sono contenti o hanno nostalgia della scuola, dei compagni e dei professori?
Ricordate le parole del governatore della Campania De Luca che prendeva in giro la mamma di una ragazzina che voleva andare a scuola affermando con la solita strafottente ironia che quella fosse “l’unica bambina d’Italia che piange per andare a scuola. Questa povera figlia evidentemente è una Ogm, è stata cresciuta dalla mamma con il latte al plutonio”. Ecco questi ragazzini di 13 e 14 anni delle Paccini , forse non piangono, ma in un’età così difficile e delicata come l’adolescenza sono costretti a convivere e confrontarsi con un nemico come il Covid che ha completamente interrotto i loro ritmi, la loro quotidianità. La vivono con disagio e attesa, con tanti pensieri per la testa.
Ecco il report di IVG.it che ha raccolto alcune testimonianze esplicative della situazione che vivono attualmemte i nostri studenti.
“Penso che sia difficile lavorare a distanza, perché comunque non tutti hanno i mezzi per fare lezione da casa, poi anche perché il metodo di studio non è lo stesso che in presenza. Ci sentiamo in chat, ma mi sento triste e anche i miei compagni si sentono tristi di non poter vedere i professori e i compagni come prima” dice Gabriele.
E Federico aggiunge: “La Dad è poco efficace e spesso disastrosa per via del malfunzionamento dei mezzi tecnologici come ad esempio il wi-fi, il consumo della rete ache purtroppo tanti studenti non hanno così in abbondanza”. Secondo Federico B: “La didattica a distanza ci impedisce di fare tante cose, che prima spesso davamo per scontate: anche solo poterci salutare o sentire in lontananza o le battute dei compagni dei banchi di dietro. Questa situazione ci ha fatto capire quanto siano importanti le piccole cose… Per questo credo che dovremmo essere più motivati ad accettare queste restrizioni, per poi riavere quei dettagli che fanno della scuola il luogo che noi conoscevamo, poterci rincontrare… Non sono felice di fare la Dad, ma sono motivato a farla, solo perché voglio ritornare a riabbracciare i miei compagni e l’unica via è quella di rispettare le regole”.
Per Matteo, del Liceo Linguistico “Della Rovere”: “La didattica a distanza è diventata ormai una triste icona pop della situazione drammatica che stiamo vivendo… Personalmente amo andare a scuola, il contatto umano, le risate, le risate coi prof, gli sguardi memorabili e le frasi simpatiche di ogni giorno… Nella didattica a distanza tutte queste cose vengono a mancare. Come viene a mancare anche da parte dei ragazzi lo spirito di “Società Classe/Società Istituto”. Non è solo una questione didattica e formativa, cambia il nostro modo di vivere: non dovendo uscire di casa per andare a scuola non ho nemmeno troppa voglia di uscire al pomeriggio, ormai sono a casa, preferisco il divano, Netflix, allenamento in casa, etc… La mia vera domanda è: “Chi mi ridarà i miei 16 anni, la mia ansia per una verifica, i brutti voti, i bei voti, le giustifiche 5 minuti prima della campanella? Nessuno, mai nessuno mi ridarà i miei 16 anni, la mia scuola intesa nella sua socialità complessiva, le mie prime esperienze. Mi manca tanto la scuola, che ci crediate o meno…”.
Per Gabriele, Liceo Classico “Chiabrera-Martini”: “Personalmente ritengo la didattica a distanza una misura totalmente di emergenza… Rispetto al periodo marzo/maggio la maniera di fare lezione e di valutare i contenuti è decisamente migliorata, però purtroppo non c’è modo di tenere sott’occhio “i furbetti”… Seguono in pochi a dirla tutta, probabilmente perché non è semplice interagire con la Prof mentre spiega. Connessioni lente o audio in ritardo causano poi qualche disguido, così come il minor tempo a disposizione per fare lezione (le ore di lezione sono da 45 minuti al posto dei 50 canonici). Forse è anche per questo che alcuni prestano attenzione, mentre altri ignorano completamente le spiegazioni… È necessario aggiungere che tutti si collegano, però molti preferiscono il giocare alla PlayStation oppure il messaggiare con gli amici. È per questo che sarebbe ideale tornare ad almeno due o tre giorni in presenza, così da favorire la valutazione degli apprendimenti e in generale la nostra preparazione. Incrociamo le dita nella speranza che ciò accada, visto che tutti noi siamo convinti che resteremo “prigionieri” di questa ibrida modalità scolastica fino almeno a dopo le vacanze di Natale…”.
Nel nostro “viaggio” tra i pensieri e le riflessioni degli studenti, ecco la testimonianza di Alberto, che frequenta l’Università a Genova: “La sto vivendo bene. O meglio, sto vivendo bene il metodo in sé, essendo diventato pendolare. Non sto vivendo bene il responso dei professori. Ogni lezione sembra un “circo” perché, sopratutto i più anziani, sono incapaci di gestire programmi come Teams o simili. Si respira molto disagio e per gli esami la cosa diventa cento volte peggiore. Ovviamente, tutto questo va solo contro noi studenti, che riceviamo una istruzione a metà, con orari che non vengono mai rispettati e, alla peggio, insulti e pretese senza senso se non capiamo cosa fare…” conclude.