L'intervista

“Come nel Dopoguerra, ma con computer e cellulari”: il racconto di un medico savonese in era Covid

Tamponi, vaccini, visite e ricette: il direttore di Cairo Salute, Amatore Morando, spiega le difficoltà della medicina generale in tempo di pandemia

amatore morando medico mascherina

Cairo Montenotte. “Lavoriamo come se fossimo nel Dopoguerra, solo che abbiamo computer e cellulari”. La denuncia del direttore di Cairo Salute, il dott. Amatore Morando, che in un’intervista rilasciata a IVG.it racconta il difficile ruolo dei medici di famiglia in questa emergenza sanitaria, a volte abbandonati e molto criticati, ma figure fondamentali per la lotta contro il Covid-19.

Dottore, in questi mesi si è alzato quasi un polverone intorno al medico di famiglia. Da eroi siete passati ad essere additati come uno degli anelli deboli della catena del sistema sanitario, pur dovendo affrontare in prima linea diverse difficoltà. Qual è il vostro ruolo in questa pandemia?  

“Siamo una task force che sta facendo il massimo nei limiti di ciò che è possibile fare con i mezzi a disposizione. I continui tagli alla Sanità hanno colpito anche la medicina generale, non si è più investito nel territorio. Bisogna fornire ai medici gli strumenti necessari: ambulanze, infermieri come avviene per il sistema Gsat. Non è possibile pensare che un medico vada a fare un tampone oppure una visita a casa di un paziente positivo e, una volta uscito, debba da solo svestirsi di tutte le protezioni necessarie, così aumenta il rischio di contagio”.

E di questi tagli ne ha risentito anche Cairo Salute…

“Era un centro d’eccellenza che lavorava 10 ore al giorno. A livello locale sarebbe potuto diventare un punto di riferimento importante in questa emergenza sanitaria, ma i mancati investimenti e i tagli l’hanno impedito. Lavoriamo come se fossimo nel Dopoguerra, solo che abbiamo computer e cellulari”.

Possiamo dire che in tempo di Covid, il cellulare è diventato per i medici di famiglia uno strumento importante quanto lo stetoscopio…

“Sì, quotidianamente riceviamo più di 100 chiamate e migliaia di messaggi, in media stiamo al telefono più di 3 ore al giorno. Le visite domiciliari o in studio continuano, ma solo su appuntamento e soprattutto solo per chi ne ha veramente bisogno, anche perché, pur sanificando i locali e indossando i dispositivi di sicurezza necessari, si sottopone comunque il paziente ad un rischio. Ci rendiamo conto che altre patologie sono penalizzate, la colpa non è nostra, ma dell’organizzazione del sistema sanitario. Per creare posti letto negli ospedali, stanno chiudendo anche reparti e pronto soccorso”.

Il rapporto medico-paziente ha risentito del maggior utilizzo della tecnologia?

“Sì, non esiste più il rapporto medico-paziente di una volta. Quasi tutto si fa tramite telefono o email, in quanto la carta rappresenta un possibile veicolo di contagio. Il problema più grande è che ci sono molte persone anziane, la maggior parte si è adeguata grazie all’aiuto di figli e nipoti, ma altri non ci sono riusciti e si recano fisicamente a Cairo Salute per ritirare le ricette”.

E rispetto alla prima ondata di marzo, cos’è cambiato?

“Dal punto di vista gestionale, il metodo di lavoro. È stata creata una piattaforma informatica nella quale inseriamo le segnalazioni dei pazienti Covid. È sicuramente più pratico rispetto a prima, ma ci impegna molte ore al giorno. Poi ovviamente sono cambiati i numeri, anche in Valbormida sono aumentati i positivi, non solo nella popolazione anziana, ma anche tra i giovani che sono per lo più asintomatici, molto probabilmente hanno influito l’estate e la riaperture delle scuole. La situazione è sicuramente più grave, collaboriamo costantemente con il direttore del Dipartimento Prevenzione dell’Asl2, il dott. Marco Lovesio, valbormidese di nascita, e dobbiamo davvero ringraziarlo per la sua disponibilità, lo chiamiamo tutti almeno due volte al giorno e non ci fa mai mancare il suo supporto e parere professionale”.

Andando sul pratico: appaiono i primi sintomi, compare la febbre, cosa bisogna fare?

“Chiamare il medico di famiglia, che provvederà a fare la segnalazione sulla piattaforma dedicata. Sarà poi l’asl a contattare il paziente e a decidere se ci sono o meno le condizioni per effettuare il tampone, ora stanno scarseggiando quindi non sempre vengono effettuati. In ogni caso, il medico di famiglia si occuperà di prescrivere le cure adeguate a tutti coloro che presentano sintomi legati al Covid-19. Al paziente verranno quindi prescritti cortisone, eparina, antibiotici e antipiretici. Ovviamente il medico resterà in costante comunicazione con i pazienti, seguirà l’iter della malattia e in caso di aggravamento segnalerà agli ospedali la situazione. Abbiamo contatti diretti sia con il San Paolo di Savona che il San Martino di Genova”.

Eccoci arrivati ad uno dei grandi protagonisti di questa emergenza sanitaria: il tampone. Chiariamo un dubbio: può farlo il medico di famiglia?

“Pochi giorni fa è stato siglato un accordo (valido fino al 31 dicembre) con il Governo secondo cui i medici dovranno eseguire i test antigenici, i cosiddetti test rapidi, e nel caso in cui un medico si rifiuti, dovrà delegare qualcuno che lo faccia al suo posto. Inoltre, in caso di positività del paziente, il dottore potrà scegliere se eseguire immediatamente il tampone molecolare oppure segnalarlo all’Asl che se ne occuperà”.

A Cairo ci saranno presto due nuove sedi per potersi sottoporre al tampone.

“Sì, stiamo lavorando per la creazione di due punti dedicati. Uno sarà drive-in, l’Asl2 deve ancora decidere la sede. Vi potranno accedere gli asintomatici o persone che hanno avuto contatti stretti con positivi e raccoglierà i pazienti di Cairo, Dego, Piana Crixia e Giusvalla. L’altro, invece, sarà un servizio privato a pagamento offerto dal Consorzio Liguria Salute, ente che raccoglie i centri salute della provincia, e sorgerà a Cairo in via Borreani Dagna. Sarà interdetto a chi è in quarantena e vi si potrà accedere su prenotazione”.

Oltre alla carenza di tamponi, in Italia si deve fare i conti anche con le dosi del vaccino antinfluenzale che stanno finendo. Com’è la situazione a Cairo?

“Stiamo attendendo ulteriori dosi, entro metà dicembre dovremmo aver terminato la campagna vaccinale. Attualmente abbiamo somministrato in media 300 vaccini a medico”.

In questi mesi difficili di continue chiamate e più di 12 ore di lavoro al giorno, ha avuto a che fare anche con pazienti negazionisti?

“Sì, esistono due tipi di pazienti: quelli che hanno numerosi timori e quelli che negano l’esistenza del virus e credono che la mascherina sia inutile, sono i più pericolosi. Certo, non bisogna fare terrorismo, ma è necessario che tutti si rendano conto che rispettare i protocolli è fondamentale: indossare la mascherina, igienizzare le mani, mantenere la distanza e socializzare il meno possibile. Anche noi all’interno dello studio lavoriamo sempre con visiera, mascherina e camice, vi assicuro che non è per niente facile indossarle per tutte queste ore, ma è necessario”.

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