Genova. “Non siamo qui semplicemente per tagliare un nastro e forse non è neppure facile abbandonarsi a intenti celebrativi: ancora è troppo acuto il dolore della tragedia che si è consumata in questo luogo. Il nostro pensiero e il nostro cuore sono alle vittime e ai loro familiari che continuano a mantenere vivo e fecondo il loro ricordo”. Con queste parole Giuseppe Conte, come le altre istituzioni intervenute, nel proprio discorso durante l’inaugurazione del nuovo ponte “Genova San Giorgio” ha voluto ricordare i familiari delle vittime.

Il presidente del consiglio Giuseppe Conte è venuto molte volte a Genova dal 14 agosto 2018, ha seguito con cuore e passione e impegno la vicenda dell’emergenza e poi della ricostruzione seguita al crollo del Morandi e oggi è voluto intervenire citando Piero Calamandrei. “Nel 1945 fondò la rivista Il Ponte – ha ricordato – e l’intento di questo grande giurista e grande protagonista dell’opera di ricostruzione morale e culturale del Paese nel dopoguerra era offrire un ponte culturale che si ergesse sulle macerie in cui versava il Paese – continua – Calamandrei scrisse ‘il nostro programma è già tutto nell’emblema della copertina’, perché l’uomo che torna ad attraversare il ponte simboleggia la vita che torna al suo corso dopo una profonda crisi, e anche il Genova San Giorgio ha questa funzione, creare unità e generare nuova fiducia per riavvicinare i cittadini di Genova, della Liguria e dell’Italia intera alle istituzioni e allo Stato”.

Il premier parla poi da capo del governo, con un discorso anche piuttosto “politico” sul percorso e le scelte che hanno portato da una parte alla ridefinizione dei parametri alla base della concessione della rete ad Aspi e dall’altra – ma si tratta di un processo ancora in fieri – dell’ingresso nella governance in sostituzione dei Benetton. “Tutto per garantire maggiori investimenti in manutenzioni, e quindi maggiore sicurezza”.

Il presidente del consiglio, però, scivola su una buccia di banana. Parlando del ponte come simbolo di forza e leggerezza, fa riferimento ai “18 piloni in calcestruzzo” e però poi parla di “43 lampioni che si proiettano verso il cielo e ricordano le vittime della tragedia”. In realtà i pennoni luminosi, simili ad alberi di una nave, non sono 43 – come inizialmente avrebbe voluto Renzo Piano – ma 18, per motivi di sicurezza e omologazione. Una nota stonata che non è passata inosservata a molti genovesi all’ascolto.

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