Liguria. È stata emessa ieri, a Palmi, con rito ordinario, la tanto attesa sentenza del processo “Alchemia”, una vicenda giudiziaria durata oltre 4 anni. Al termine del processo, che riguardava la cosca Raso-Gullace-Albanese che da Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, si è espansa anche in Liguria, Piemonte e Lazio, e la cosca Gagliostro-Parello di Palmi, sono state però comminate “solo” 10 delle 30 condanne richieste dai Pm Giulia Pantano, Gianluca Gelso e dall’aggiunto Gaetano Paci.
E per quanto riguarda la “componente ligure” della vicenda, sono emerse “ombre” (come la condanna di Carmelo Gullace, Orlando Sofio e Marina Gutteria e Fabrizio Accame) e “luci” (come le assoluzioni delle sorelle Fazzari, Giulia e Rita, del marito di quest’ultima, Roberto Orlando, e di Antonio Fameli).
Entrando nello specifico dei singoli casi, Carmelo Gullace è stato condannato a 18 anni di reclusione (il fratello Francesco a 15 anni), mentre Orlando Sofio e Marianna Grutteria sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e 3 mesi e 3 anni; per Fabrizio Accame, infine, condanna a 8 anni e 2 mesi (leggi qui), confermata in secondo grado.
Buone notizie invece per Giulia Fazzari, che era stata addirittura accusata di “essere una delle sodali della cosca”, mentre la sorella Rita Fazzari e il marito Roberto Orlando erano stati accusati di “intestazione fittizia con l’aggravante dell’articolo 7”: sono stati tutti pienamente assolti.
E la redazione di IVG.it, non appena conclusa la vicenda, ha contatto in primis il diretto interessato, Roberto Orlando, e subito dopo anche i legali delle sorelle Fazzari e dello stesso Orlando, ovvero gli avvocati Antonio Marino e Andrea Mieli, entrambi del Foro di Roma.
“I miei avvocati hanno fatto un lavoro straordinario e li ringrazio davvero, – ha dichiarato Orlando ai microfoni di IVG.it. – Così come ringrazio il mio amico fraterno Marco Melgrati, che si è sempre speso per noi in prima persona. Voglio palesare poi vicinanza ai miei figli, che sono dovuti diventare grandi più in fretta del tempo per via di questi avvenimenti, e alle mie nipoti. E ci tengo a precisare che, nonostante ci sia stato un parente che ha cercato di infangarci in tutte le maniere, non provo nessun rancore. Non mi abbasserò mai al loro livello: si sono dimostrate pessime persone. Sono stati 4 anni da incubo. In Italia finalmente la Giustizia ha lavorato come si deve: è stata riconosciuta l’onestà di 3 persone che non hanno mai avuto nulla a che fare con la ‘Ndrangheta o con ambienti mafiosi. Ora possiamo solo sperare che la vita ci ridia tutto quello che ci è stato tolto in questi anni”.
Quindi, ecco le dichiarazioni dell’avvocato di Orlando, Antonio Marino: “Noi abbiamo trovato, pur in una realtà emergenziale, un collegio che ha saputo fare dei distinguo ben precisi e che si è segnalato per equilibrio, capacità e anche autorevolezza. In una realtà in cui Stato e Magistratura sono chiamati a dare risposte forti per contrastare il fenomeno mafioso e ’ndranghetista, il collegio ha operato con cognizione di causa e interventi mirati sui singoli casi”.
“Alla Calabria serve questo: una magistratura che sappia distinguere dove esiste l’imprenditoria sana e dove invece si verificano davvero casi di ‘inquinamento’ a causa di infiltrazioni mafiose. Se non si fanno i distinguo si rischia solo di azzerare tutto, ma rendendo asfitica l’economia calabrese”, – ha proseguito il legale.
“Le aziende in capo ai miei assistiti, e parliamo in questo caso di Roberto Orlando e della moglie Rita Fazzari, non c’entravamo proprio nulla con l’inchiesta Alchemia. È stato dimostrato come non abbiano mai avuto rapporti con la Calabria e per questo è caduta l’accusa di essere prestanome e di favorire la cosca. Hanno sempre operato in modo sano e onesto, e lo fanno ormai da decenni in provincia di Savona”.
“Il tribunale di Palmi ha avuto la forza di fare i debiti distinguo. Un conto è dire che sono aziende impregnate e corrotte, ben altra cosa sono le aziende sane coinvolte loro malgrado, come in questo caso. Possiamo affermare che si tratta delle fine di un incubo durato 4 anni”, ha concluso l’avvocato Marino facendo eco alle parole del suo assistito.
C’è anche chi, non da oggi, ma dal primo giorno, come si è evinto chiaramente anche dall’intervento dello stesso Orlando, ha sempre creduto nell’innocenza degli amici Rita Fazzari e Roberto Orlando, ovvero il sindaco sospeso di Alassio Marco Melgrati, che scrisse anche una lettera al procuratore (leggi qui) per convincerlo della bontà del loro operato, e che ha ovviamente accolto con gioia l’esito della sentenza che li ha riguardati nello specifico.
Facendo un breve excursus storico sulla vicenda, tutto è iniziato a luglio del 2016 (leggi qui) con una una raffica di arresti richiesti dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Ordinanze di custodia cautelare che erano state eseguite in Liguria, Calabria, Lazio, Piemonte ed in altre Regioni del nord Italia dalla Polizia di Stato e dalla Dia.
In particolare 42 misure cautelari – 34 in carcere, 6 ai domiciliari e 2 interdittive dall’esercizio di un pubblico ufficio-, emesse dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, a carico di soggetti considerati affiliati e contigui alla ‘ndrangheta delle cosche reggine “Raso-Gullace-Albanese” e “Parrello – Gagliostro”. Tutti indagati, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni e società.
Un’inchiesta che aveva aperto uno squarcio sul grande interesse delle cosche per diversi settori strategici della Liguria, confermando, così come la sentenza e le relative condanne, il ruolo chiave della nostra Regione nelle dinamiche e negli interessi della ‘ndrangheta del nord Italia.