Per un pensiero altro

Occhi di cane azzurro

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

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«Fu allora che rammentai la solita cosa e dissi: “Occhi di cane azzurro”. Lei mi disse, senza ritrarre la mano dalla lampada: “Già. Non lo dimenticheremo mai.” Uscì dall’orbita, sospirando: “Occhi di cane azzurro. L’ho scritto dappertutto.”» Il breve scambio di frasi tra un uomo ed una donna è tratto dal racconto “Ojos de perro azul” contenuto nell’eponima raccolta scritta dal giovane Gabriel Garcia Marquez. Una lettura che mi ha innamorato al primo incontro negli anni del liceo e nella quale mi sono imbattuto recentemente come rimando in una analisi comparata con un testo di Jean-Paul Sartre: “Erostrato”. Non ho compreso il parallelo e continuo a non considerarlo interessante ma gli sono grato per avermi restituito d’improvviso il profumo dei pensieri di tanti anni fa che ora, intrisi da decenni di filosofia, mi si presentificano alla mente con occhi più nuovi e profondi, probabilmente “occhi di cane azzurro”.

Sgomberiamo il campo dalla questione di critica comparata. Il racconto di Sartre, precedente a quello di Marquez, rinvia ad un personaggio dell’antica Grecia che può essere considerato l’antesignano dei purtroppo numerosi mitomani che abitano le vie dell’occidente, specie quelle statunitensi. Erostrato, al fine di essere ricordato nel tempo, diede alle fiamme il tempio di Artemide. Per il suo gesto fu condannato e giustiziato e, ciò che conta, gli Efesini, suoi concittadini, fecero il possibile per cancellarne la memoria, vollero, insomma, vanificare il suo gesto teso a renderlo immortale nel ricordo dell’umanità. L’epigono sartriano si chiama Paolo Hilbert e progetta una strage, rivisitazione decisamente inquietante ed anticipatrice, ma al momento opportuno viene bloccato da un interrogativo esistenziale: che senso ha uccidere persone che sono già morte? L’esito sarà che il “borghese piccolo piccolo” sparerà ad un solo ignaro passante senza nemmeno portare a compimento il progettato suicidio successivo. Nel racconto di Marquez un uomo ed una donna si incontrano solo in sogno senza conoscersi, nulla a che vedere con il testo di Sartre se non per il fatto che, ad un certo punto della narrazione, i due diversi protagonisti maschili osservano una donna con un elemento, almeno a mio modo di vedere, solo irrilevantemente comune. Nel racconto del filosofo francese si legge: “Quella notte e le tre che seguirono, sognai sei bucolini rossi messi in circolo intorno al suo ombelico”; in quello del sudamericano:”Avevo sempre desiderato vederti così, con la pancia piena di buchi profondi, come se ti avessero fatta di legni.” L’intento sartriano era una feroce riflessione esistenzialista sul senso della vita, provocatoria nel suo proporre una diversa prospettiva, quella che il pensatore definiva “la prospettiva dall’alto”, probabilmente la rappresentazione di situazioni-limite. In effetti la raccolta di racconti “Il muro”, che contiene il citato Erostrato, si articola in cinque diverse vicende che mi sembra corretto definire situazioni-limite. Un simile concetto è esplicitato con profondità ed efficacia da Karl Jaspers nel suo scritto “Filosofia”: “Esse [ … ] sono come un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo. Non possiamo operare in esse alcun mutamento, ma dobbiamo limitarci a considerarle con estrema chiarezza, senza poterle spiegare o giustificare in base a qualcosa”. A mio avviso ben diversa è la narrazione di Marquez protesa in quell’immaginifico onirico nel quale si incontrano e si perdono i protagonisti, non un uomo e una donna, ma due anime in attesa.

Bene, sgombrato il campo possiamo concederci a una riflessione altra. Nel racconto di Marquez un uomo ed una donna o, come meglio dicevo poco sopra, due anime, si incontrano ogni notte all’interno di un sogno condiviso, ogni notte la loro unione si fa più assoluta, definitiva; ogni notte si cercano e non possono sfiorarsi per le leggi misteriose ed incontrovertibili del codice onirico, ogni notte si ripromettono di cercarsi nel mondo del quotidiano e condividono, nel dialogo notturno, una frase che possa loro permettere di trovarsi finalmente anche una volta svegli, “Occhi di cane azzurro”, appunto. Sono passati troppi anni da quella mia prima folgorante lettura e non sono più certissimo di quanto affermo ora, la memoria non è certo “la mente che non erra” come assicurava il vecchio Alighieri, è la mente che, attraverso il ricordo, porta al presente della tua coscienza quello che allora era ben altro e la differenza, impossibile da conoscere per intero. Tra la memoria di allora ed il ricordo di adesso si colloca il viaggio che hai condotto nella tua vita sino a condurti all’adesso e da dove stai osservando l’allora. Ma questo è argomento di un ulteriore appuntamento, per ora torniamo a Marquez. Come dicevo non ne sono certissimo, ma credo che la frase sia stata pronunciata dall’uomo che aveva osservato la magia negli occhi della donna del sogno, l’espressione suggestiva proprio perché figlia di un linguaggio onirico, liberato dalle censure e dalle pastoie dell’ovvietà della parola del quotidiano, era divenuta il segno che i due amanti sarebbero andati a cercare nel mondo della veglia.

Ogni giorno, nel loro rispettivo “mondo reale”, continueranno a cercarsi, pronunciando la frase nella speranza che qualcuno ne comprenda il valore, scrivendola sulle pareti lungo le strade … avrebbero potuto anche urlarla, fare affiggere manifesti o studiare qualsiasi altro stratagemma, che possibilità avrebbero mai avuto di trovarsi? Nessuno dei due poteva conoscere il nome dell’altro, né avere notizia di dove abitasse, né la via, né la città e nemmeno lo stato o il continente. Ciò che ancora di più sconvolge è che nemmeno potevano avere la certezza della loro esistenza simultanea nel tempo convenzionale e, si sa, il tempo e lo spazio dei sogni non sottostanno alle regole convenzionali della nostra prigione banale che chiamiamo spazio-tempo reale. Ma la riflessione più assurda credo sia che l’incontro notturno, così libero, così definitivo, così intimo, non mancava di nulla, non richiedeva l’incontro fisico che mai avrebbe potuto aggiungere o togliere alcunché a quanto già era avvenuto ai due amanti. Certo, come rinunciare ad una carezza, ad un bacio, ad una più profonda intimità sessuale, ma forse l’amore è solo ex stasi, incontrarsi altrove e nel non tempo, e se la pelle ed i sensi nel momento d’amore sanno regalarci un simile viaggio, solo allora per un diverso sentiero è possibile cogliere la perfezione assurda di occhi di cane azzurro.

Mi trovo di nuovo a citare l’amico Gershom Freeman che in una meravigliosa sintesi poetica descrive “Il momento d’amore” in un profondissimo silenzio complice fatto di sguardi e di pensieri, un silenzio che le parole avrebbero solo potuto violare che, chi mi legge lo sa bene, le parole servono per ciò che potrebbe essere taciuto mentre i silenzi sono l’espressione di quanto non è possibile dire. Non mi resta che riportare i brevi intensi versi di Gershom Freeman:
…ci svegliammo
ed eravamo insieme
così ci riaddormentammo
fronte contro fronte
per incontrarci in sogno

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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