Per un pensiero altro

La bellezza in – attesa

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero Altro 27 maggio

“E andando nel sole che abbaglia/sentire con triste meraviglia/com’è tutta la vita e il suo travaglio/in questo seguitare una muraglia/che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. È la chiusura della celeberrima poesia scritta da un nostro grande corregionale, Eugenio Montale, appena ventenne e pubblicata nel 1925 negli Ossi di Seppia grazie all’intuito di un editore geniale come Piero Gobetti purtroppo ucciso dalla violenza e dalla stupidità fascista. Non è il caso di lanciarsi in analisi tecniche che pure rivelerebbero la formidabile qualità della ricerca stilistica del giovane ragioniere rapito dall’arte poetica, preferisco deliberatamente suggerire una lettura alternativa di questi versi. Il senso filosofico del testo, sappiamo che in quegli anni il giovane Montale stava leggendo i contingentisti francesi apprezzando particolarmente Boutroux, coglie la fatica di vivere costeggiando la conoscenza del senso che si rivela e si occulta dietro una parete invalicabile. La “maglia rotta”, “l’anello che non tiene”, per dirla sempre con le parole del poeta, può però consentire l’incontro, magari è possibile uno sguardo furtivo da “un malchiuso portone” che disveli semplicemente “il giallo dei limoni”, “le trombe d’oro della solarità”.

Non so se il giallo dei limoni sia la risposta alla ricerca di senso, ma certo è un momento estatico, è l’incontro con la bellezza, forse con una risposta, forse un’apertura all’essere. Quest’ultima espressione risente evidentemente dell’evocativo linguaggio in cui si esprime la filosofia heideggeriana. La bellezza, come l’amore e l’estasi, ha bisogno di occhi che la sappiano incontrare. Parafrasando Kant, il cielo stellato richiede uno sguardo umano che gli doni il senso del sublime, meraviglia che è nel cielo ma che nulla sarebbe senza la carezza di uno sguardo umano. Lo stesso accade quando si incontrano due esser-ci ( ancora Heidegger ), così la bellezza di Maddalena non è nulla senza il desiderio di Filippo ( ovviamente i nomi ed il sesso poco importano), ma ecco che Filippo scopre in sé di essere altro da quello che si è sempre pensato, e questo grazie a Maddalena, che nello stesso istante si sa come meraviglia. Infine l’incontro diviene parola inaspettata, echi lontani risuonano nella valle del desiderio di Filippo che si sorprende a sussurrare: “Vorrei accarezzare il profumo del tuo sorriso per poi restituirtelo intatto”. Sono convinto che siamo tutti artisti ma che il nostro tempo e le nostre censure ci impediscano di trasformare la banalità del conversare sul nulla in un meraviglioso incontro di sensi e pensieri. La bellezza è lì, che ci aspetta, ma è importante permetterci l’occasione di coglierla, forse ancora una volta può risultare illuminante l’esortazione heideggeriana ad aprirci all’essere per consentire l’accesso reciproco. In effetti l’essere, nelle sembianze di un cielo stellato o di Maddalena, sta aspettando che qualcuno ne ascolti il sussurro, è così che l’essere diventa nulla quando noi lo zittiamo ma se sapessimo divenire (o tornare ad essere) valle dell’eco …

Ricordo un’estate di troppi anni or sono, e mi rivedo poco più che ventenne a cavallo di una rossa vespa duecento. Certo, oggi sarebbe impensabile, a vent’anni, da solo, da Milano ad Atene, con soli quattro soldi in tasca e tanta fantasia tra il cuore ed il pensiero, ma allora … insomma, decisi di partire alla volta della Grecia. Come arredo un sacco a pelo ed uno zaino militare recuperato per poche lire alla fiera di Senigallia, noto mercatino dell’usato di Milano, infatti allora studiavo ed abitavo a Milano. Ero riuscito ad accantonare qualcosa, non molto in effetti, la maggior parte dei guadagni se ne andavano in affitto, sopravvivenza e piacevoli nottate nella “Milano da bere” dei favolosi anni ottanta. Il sogno era di regalarmi una vacanza nella terra della filosofia, dopo anni dei loro libri finalmente avrei visitato il paese dei grandi pensatori delle origini. Tralascio le avventure logistiche ed umane che, carezze per la mia memoria, poco hanno a che vedere con il senso di questo momento aneddotico. Eccomi alle pendici dell’acropoli, Atene sonnecchia nel torpore di un meriggiare degno di Montale, io salgo, con i pochissimi turisti che osano sfidare il sole perpendicolare dell’agosto greco, per raggiungere i propilei, i due tempietti prostili che segnano l’accesso all’acropoli più famosa del mondo. Mentre salgo in me cresce l’emozione, chissà, forse Socrate ha camminato proprio qui, magari Platone avrà sostato in conversazione all’ombra di queste colonne. Mi immobilizzo estatico ad osservare la meraviglia architettonica del Partenone. Vicino a me una splendida fanciulla ( almeno, così la ricordo) purtroppo già in compagnia di un ragazzo, sta chiedendo al suo accompagnatore di scattarle una foto con lo sfondo del tempio. Toni e modi della richiesta della fanciulla poco sposavano con il film che mi ero già proiettato su di lei, “Che, ma a fai na foto?” chiese, e lui da buon concittadino: “Vabbè, ma io nun capisco checcetrovi ( pronunciato come una parola sola ) in tutti sti sassi”. L’incanto dell’acropoli rimase in silenzio a quelle blasfeme parole ed io mi interrogai: sono più fortunato io che so cogliere la magia e mi illumino di tanta bellezza o il giovane romano che non la sa apprezzare ma si accompagna a una simile meraviglia muliebre? Non ha importanza ora quello che mi risposi allora, l’importante è che compresi in quel momento che la vera bellezza vive negli occhi di chi la sa vedere.

Ed ecco che i versi profetici di Montale si colorano di inconosciuti chiarori: andando, senza soggetto, tutt’uno con il meriggio e la sua luce; nel sole che abbaglia, così che non si possa vedere con precisione, ma nulla importa in quel momento, solo essere abitati nel profondo da quella luce; sentire, già, non comprendere, non ricomporre ordinatamente, ma sentire, senza l’ausilio delle orecchie, sentire con tutto il tuo essere; con triste meraviglia, perché ti stai sorprendendo di tanto mistero che ti si offre, eppure un poco sei triste per la tua inadeguatezza; com’è tutta la vita e il suo travaglio, in un interminabile istante perduto nel non tempo del meriggio cogliere l’esilio che si conduce nell’incedere quotidiano mentre si consuma il nostro breve tempo; in questo seguitare una muraglia, poiché il percorso che ci concediamo è un vinto costeggiare il perimetro della vita ben consapevoli del fatto che lei abita appena più in là, oltre il muro; che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, così che si divenga ben consci dell’impossibilità di scavalcare l’ostacolo. Ma d’un tratto qualcosa può cambiare, la luce nella radura, l’io vivo dell’urlo taurino dionisiaco, l’eterno che diviene infrazione nell’istante, ed ecco che non è necessario scavalcare il feroce muro, poiché ti sai già oltre, dove sei già stato, dove hai diritto di vivere. Comprendi, infine, come fosse possibile che il tuo inane andare fosse intriso della consapevolezza di cosa abitasse oltre il muro, è la bellezza che da sempre ti aspetta per sapersi, per riappropriarsi di sé e divenire dono

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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