Drammi personali

Congiunti in Regioni diverse, la petizione: “Lasciateci riabbracciare i nostri cari”

Figli, genitori o compagni separati da un confine, non si vedono da mesi e continueranno a non vedersi: ecco la petizione per cambiare le cose

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Liguria. La gioia liberatoria di un abbraccio, dopo due mesi “a distanza”. L’hanno provata in tanti, lo scorso 4 maggio, quando è stato finalmente possibile rincontrare genitori, figli, fratelli, fidanzati: i famigerati “congiunti”, insomma, di cui tanto si è discusso per stabilire “chi” lo fosse e fino a quale grado di parentela.

Quella gioia, però, non ha riguardato proprio tutti. C’è qualcuno a cui quell’abbraccio è stato negato e, a quanto pare, lo sarà ancora per parecchio tempo: i congiunti che vivono in Regioni diverse. Per loro quel confine è un muro ancora invalicabile. E ora, dopo mesi di lontananza, chi vive questo piccolo grande dramma lancia una petizione per chiedere al Governo di cambiare le cose.

A lanciarla su Change.org una ragazza campana, Michela, ma la sua richiesta al Presidente del Consiglio ha immediatamente acquisito seguito anche nel savonese. “Poiché dovremmo avere tutti gli stessi diritti, dovremmo avere anche noi la possibilità di ‘ricongiungerci’ con i nostri affetti – recita il testo della petizione – semplicemente perché è un diritto che in questa fase è stato negato soltanto a noi! Non si parla di assembramenti, festini o cose di questo genere, chiediamo solo di essere equiparati alle stesse persone che hanno gli affetti nella propria regione”.

Collegato alla petizione è stato creato un gruppo Facebook, che riunisce proprio le persone che si trovano a vivere la stessa problematica. Oltre 1300 membri in pochi giorni, tra cui anche diversi savonesi che condividono il loro personale dramma. “Le storie sono varie – racconta una iscritta, Clarissa – abbiamo chi è separato da pochi km, ma comunque oltreconfine e che si ritrova solo (non può incontrare nessuno, niente è cambiato per loro dalla nota Fase 1, ancora clausura e attività motoria in solitaria); chi vuole rivedere un genitore anziano rimasto vedovo di recente; chi vorrebbe riabbracciare i figli (grandi, ma pur sempre figli); chi è medico o fa parte del personale sanitario ed è stato in prima linea nella lotta al virus e dopo tanti applausi, adesso gli viene detto che ci vuole pazienza; chi ha un compagno al nord o al sud, già in difficoltà per una storia a distanza e che adesso si fa insopportabile per l’incertezza di una data e dunque di un futuro sognato insieme”.

“La nostra rabbia – prosegue – è scoppiata quando ci siamo sentiti denigrati per questa richiesta (venendo ridicolizzati come ‘fidanzatini’, ‘turisti’, e chi più ne ha più ne metta) mentre ai più fortunati veniva riconosciuto giustamente il diritto di rivedere i propri cari. Inoltre non abbiamo ricevuto né riceviamo risposte dalle istituzioni, che continuano a non prendere in considerazione la nostra condizione e incoerentemente affermano quanto lo stress emotivo da isolamento possa diventare pericoloso”.

“Nel gruppo ci siamo confortati – rivela la donna – abbiamo raccolto storie di chi ha iniziato a soffrire di attacchi di panico e ansia, perché ci teniamo a ricordarlo: noi non siamo scollati dalle gravi conseguenze che il lockdown ci sta prospettando, anche noi siamo preoccupati per il nostro futuro lavorativo, non siamo disinteressati alle tragedie irrimediabili che hanno colpito molte famiglie, anche noi siamo stati colpiti dalle notizie strazianti. Ma in più ci è negato il supporto di chi abbiamo di più caro nelle nostre vite, che non è colmabile con una videochiamata. Quindi vorremmo anche noi questo diritto, e ricevendo anche noi la fiducia riposta in tutti gli altri cittadini”.

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