Per un pensiero altro

Sindrome del maresciallo

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero Altro 8 aprile

“Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile all’alterità del testo. Tale sensibilità non presuppone né un’obiettiva “neutralità” né un oblio di sé stessi, ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie pre-supposizioni e dei propri pregiudizi.“ Così scriveva Hans-Georg Gadamer in Verità e metodo. Precisava anche che l’atto del comprendere e della comunicazione consiste nella fusione degli orizzonti dei due attori dell’azione; ritengo di poter aggiungere che tale affermazione è formidabile sia intesa nel rapporto tra due persone che tra un essere umano ed un testo, un’opera pittorica o musicale o cinematografica …!

Giorni fa, con mio grande compiacimento, mi ha scritto un ex alunno per il solo piacere di scambiare punti di vista e considerazioni con il suo vecchio professore di filosofia. Oltre alla gratificazione ovvia che regalano affetto e stima, nella circostanza abbiamo avuto modo di riflettere con reciproca soddisfazione intorno al rapporto docente discente. La prima sottolineatura dell’amico, ora ovviamente siamo amici, il rapporto si è svincolato inevitabilmente dalla prigione dei ruoli, è stata circa il fatto che il mio comportamento come insegnante si è sempre fondato sul principio che non “sono” ma “faccio” il professore. In effetti ho sempre cercato di rimanere fedele a questo imperativo categorico anche alla luce della prospettiva gadameriana che il circolo ermeneutico che si crea tra esseri umani è assoluta responsabilità dei protagonisti dello stesso. Vedo immediatamente di esplicitare il concetto che, per l’amico col quale scambiavo considerazioni era ben chiaro in quanto precisatosi nel corso di alcuni anni di quasi quotidiana frequentazione, ma non è assolutamente scontato che lo sia per ogni lettore. Il principio gadameriano al quale mi riferisco liberamente, liberamente nel senso che non mi interessa esplicitarlo in una logica di ortodossia didattica, afferma, nella sua applicazione empirica, che se mi pongo come professore inevitabilmente incontrerò alunni, allo stesso modo se mi vivo come venditore non potrò che fare conoscenza di potenziali acquirenti, se mi penso come assassino … sfortunato chi mi frequenta. Nella mia, ahimè, lunga carriera nel ruolo di insegnante non mi sono mai ritenuto tale, mi sono sempre vissuto come un viandante della conoscenza, in questo modo chi ha condiviso il mio cammino non è mai stato un alunno ma sempre un compagno di viaggio.

Un comportamento assolutamente antitetico, non per questo scorretto, voglio precisarlo, una delle regole ferree del mio manicheismo esistenziale mi impone di non ergermi mai a giudice, è quello che sovrappone il ruolo alla persona che lo interpreta. La questione non è di così scarso rilievo specie se riflettiamo su alcune conseguenze implicite e, troppo spesso, inconsapevoli o trascurate. Chi insegna, si presume, abbia compreso qualcosa che intende comunicare al proprio interlocutore … mi rendo conto che alcuni sono convinti che l’insegnante sia un “trasmettitore di informazioni” ma io credo che questo sia assolutamente riduttivo. Negli ultimi mesi, a causa della pandemia tristemente nota, hanno costretto i docenti ed i discenti ad una attività didattica a distanza, gli esiti spesso positivi, grazie alla professionalità di entrambe gli attori, hanno convinto alcuni “osservatori” che questa modalità possa sostituire integralmente la lezione de visu, quanto poco hanno compreso della meravigliosa dinamica umana, intellettuale, gnoseologica, emotiva che si sviluppa nel corso delle lezioni scolastiche. In effetti l’orientamento che vuole costruire una scuola ancillare alla professionalizzazione degli studenti non si concilia con quanto affermato, è un’ottica che vede l’azione pedagogica come il mezzo per fornire conoscenze e competenze per il mondo del lavoro, in questa prospettiva l’essere umano diviene il lavoro che svolge se per troppo tempo non ha occasione di pensarsi come un essere umano indipendente dal lavoro stesso! Insomma: torniamo al concetto della spirale ermeneutica gadameriana. Ma riprendo il ragionamento dalla premessa: l’insegnante dovrebbe essere chi ha compreso ciò che intende comunicare. Se è così, come nella stragrande maggioranza dei casi, allora l’operatore non può non ricordare la propria fatica per accedere a concetti che voleva sempre più alti, così da misurarsi con gli stessi, crescere, arricchirsi culturalmente tanto da avere poi qualcosa da dare e dire. Una simile fatica consisteva, quasi sempre, nello smontare l’ostacolo fino a renderlo accessibile alla propria mente per poi coglierlo nella sua totalità cercando di superarlo attraverso un contributo personale. Ebbene, com’è possibile che all’atto della comunicazione gli stessi divengano così spesso oscuri, criptici, inaccessibili?

“Come parla bene , non ho capito niente”, credo sia un’espressione sentita in più di un’occasione. Proprio così, il famoso percorso che prevede di rendere semplice per capire e poi complicare l’esposizione per dimostrare agli altri quanto sia impervio pervenire alla conoscenza di quel concetto che tu, essere superiore, possiedi, ottiene spesso l’effetto paradossale che esprime l’affermazione sopra citata. Personalmente lo ritengo un esercizio per capponi afflitti dalla sindrome del maresciallo: avete ragione, è ora doveroso chiarire in cosa consiste la sindrome in questione. Non me ne vogliano i marescialli, anche se temo di non poterne contare molti fra i frequentatori di questa rubrica, ma il loro caso ben si presta all’esemplificazione eponima. Il maresciallo preso come esempio è quello che si vive per il proprio ruolo, per il potere conferitogli dalla divisa, indipendentemente dal valore di chi la indossa; molto spesso, continuando nell’inconsapevole farsa, il soggetto si convince di essere proprio lui il destinatario dei sorrisi ossequiosi, delle richieste di aiuto, della considerazione e della stima tanto frequentemente verificate nei vari interlocutori. La sindrome, nel suo decorso, non manifesta sintomatologia perniciosa, ma, al momento della pensione, si realizza la tragedia. Una volta smessa la divisa, il povero maresciallo, divenuto ex qualcosa ma al momento nulla, visto che era solo la propria divisa, ecco che si vive come nulla nei saluti distratti, nei rancori infine palesati, nella scarsissima considerazione di chi incontra. Ovviamente la patologia non è peculiare di chi indossa una divisa riconoscendosi in essa, ma in chiunque non riesca a comprendere che non siamo il ruolo che interpretiamo, ma la passione, la profondità, l’amore che produciamo nell’unico vero ruolo che sia degno di essere interpretato, quello di chi vive con assoluta sincera ed onesta intensità ogni istante della propria vita.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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