Pugno allo stomaco

Il dramma di una Oss da Andora: “Malata di Covid al lavoro, ho contagiato e ucciso mio padre”

Lavora alla “Stella Maris”, dove si sono verificate 6 morti su circa 50 ospiti. Lei accusa: "Voglio giustizia". La direzione: "Seguite le prescrizioni"

Stella Maris Andora

Andora. “Positiva al Coronavirus dai primi di marzo, ho contagiato anche mio padre, che è morto pochi giorni fa. Ora sia io che mia madre soffriamo di pressione alta. E prendo numerosi calmanti per evitare di sbattere la testa contro il muro, per non cedere ai sensi di colpa, che mi stanno comunque consumando. Voglio che venga aperta un’inchiesta, pretendo giustizia”.

È il drammatico racconto di una Oss (che ha richiesto di rimanere anonima, noi la chiameremo Giovanna), che lavora presso la residenza protetta Stella Maris di Andora e che si trova a casa, ormai da oltre un mese, dopo aver mostrato i sintomi del Covid-19, essere risulta positiva al tampone e ricoverata presso l’ospedale di Albenga. Lo stesso nosocomio, ora “Covid Hospital”, dove il padre, che viveva con la figlia e la moglie, è deceduto pochi giorni dopo le dimissioni di lei.

IL DRAMMA: “IL SENSO DI COLPA MI STRITOLA” – “La prima settimana di marzo ho accusato febbre e i primi sintomi – ricorda – Una mattina mi sono recata al lavoro, ma ho iniziato a star male e sono dovuta venir via. Da lì è iniziato il nostro calvario. Ho avuto febbre alta, perdita di equilibrio, male alle articolazioni della mani, alle braccia e alla gambe e, molto forte, alla schiena. Vivo con i miei genitori, ho provato ad isolarmi in casa, stando in camera, mangiando dopo di loro. Ma non avevo una mascherina a casa ed evidentemente non è bastato”.

“Dopo qualche giorno sono peggiorata – prosegue Giovanna – mia madre ha chiamato il 112 e mi hanno portata all’ospedale di Albenga, dove ho fatto un tampone, risultato positivo, e sono rimasta ricoverata per diversi giorni nel reparto di Medicina. Nel frattempo, però, anche i miei genitori a casa hanno iniziato ad accusare i sintomi da Covid-19. Io ero in ospedale, preoccupata da morire nonostante le loro rassicurazioni. Dopo un trasferimento al Mios, durato una sola notte, il 19 marzo sono ritornata a casa. Non ero guarita, ancora adesso non ho il risultato del nuovo tampone, ma ho sempre la febbre bassa, ogni giorno”.

“Arrivata a casa ho iniziato a misurare la saturazione dei miei genitori. Il 19 marzo era la Festa del Papà. Il 20 marzo la saturazione di mio padre ha cominciato ad essere completamente fuori controllo. Aveva già avuto problemi pregressi ai polmoni ed è stato ricoverato a sua volta al Santa Corona di Pietra Ligure, con tampone positivo anche lui. Poi, tra alti e bassi, è stato trasferito in ospedale ad Albenga, ma non è riuscito a superare una forte crisi ed è deceduto circa 2 settimane fa”.

Ora Giovanna vive “stritolata dai sensi di colpa – confessa – perché so di aver contagiato i miei genitori”. Sensi di colpa tanto comprensibili quanto ingiustificati, naturalmente, a maggior ragione perché nessuna evidenza scientifica potrà mai stabilire con certezza dove e da chi è avvenuto il contagio. Ma per un cuore straziato non c’è consolazione: “Mia madre non ha mai fatto un tampone, ma anche lei sta sempre male. Mio padre ed io eravamo molto legati: facevamo tutto insieme, era una persona dalle mani e dal cuore d’oro. Devo prendere i calmanti per non sbattere la testa contro il muro”.

L’ACCUSA: “AVVERTITI TARDI, VOGLIO UN’INCHIESTA” – E ora il dito della donna è puntato proprio contro la residenza protetta, rea, a suo dire, “di non aver informato per tempo i dipendenti né tantomeno averli dotati degli appositi dpi in tempo utile”. “Tutto è iniziato a febbraio – sostiene – quando si sono ammalate una suora e un’infermiera: la suora si è isolata fuori struttura, mentre l’infermiera ha continuato a lavorare all’interno. Entrambe presentavano sintomi riconducibili al Coronavirus. Credo nessuna delle due sia stata sottoposta a tamponi e test, ma da allora è partito tutto. Ai primi di marzo si è ammalata la prima ospite: aveva la febbre, la saturazione era sballata, abbiamo esortato l’infermiera a mandarla in ospedale ma non c’è stato verso e, anzi, è stata messa in stanza con un’altra ospite. Solo dopo essersi ulteriormente aggravata è stata mandata in ospedale”.

“Nel frattempo abbiamo continuato a lavorare senza dpi, nessuno ci ha detto di indossarli – accusa – Ma sapendo che girava questo virus e sapendo di casi di febbre alta, infermiera e dottoressa del ricovero avrebbero dovuto quantomeno avvisarci e dirci per tempo di metterci le mascherine. Ci è stato comunicato solo il giorno prima che io avessi i primi sintomi. Voglio che venga aperta un’inchiesta. Mio padre non può tornare indietro, ma pretendo che venga fatta giustizia”, conclude la Oss.

Va anche ricordato che la residenza di via Marchesi Maglione era già finita sotto i riflettori della cronaca per un duro intervento del primo cittadino di Andora Mauro Demichelis che, lo scorso 19 marzo, aveva parlato di “sole 3/4 suore rimaste insieme a 4/5 oss a supporto di oltre 50 ospiti” ma, soprattutto, di tante, troppe “segnalazioni relative a ingressi non consentiti di parenti successivamente al dpcm che aveva vietato completamente le visite”.

LA DIFESA: “IMPOSSIBILE STABILIRE QUANDO E’ AVVENUTO IL CONTAGIO” – “E’ difficile stabilire con esattezza quando e come il virus sia entrato in struttura – replica la dirigenza della residenza protetta – Il decesso in ospedale di una nostra ospite, in data 14 marzo, ha evidenziato la prima positività al Coronavirus. Siamo riusciti ad arginare la diffusione del virus seguendo tassativamente le istruzioni dell’Asl con cui il contatto è quotidiano e che ha realizzato anche un sopralluogo in sede ed esami su pazienti e sul personale sanitario”.

Lo sconforto della nostra oss, seppur comprensibile, non può comunque giustificare conclusioni sommarie su avvenimenti che, nel momento (di grave pandemia estesa a tutto il territorio nazionale) in cui si sono verificati, sono stati affrontati in maniera puntuale” fa presente la direzione. Con i sintomi ai primi di marzo, infatti, il contagio dovrebbe essere avvenuto prevedibilmente a fine febbraio, in un momento in cui sulla futura pandemia c’era ancora ben poca consapevolezza: “Di certo c’è solo che la nostra oss si è purtroppo ammalata. Se guardiamo al periodo di incubazione della malattia, non si può affermare con certezza che il virus l’abbia contagiata dentro la struttura”.

“Dal 23 febbraio la struttura è chiusa a parenti e visitatori, come prescrivono i protocolli, gli ospiti non possono accedere agli spazi comuni, sono accuditi e consumano i pasti nelle camere. Gli operatori utilizzano tutti i presidi che l’Asl ha prescritto: siamo riusciti ad avere le mascherine FFP2 e le tute integrali chiariscono dalla struttura – La casa di riposo Stella Maris ha spazi adeguati per affrontare l’emergenza: può accogliere fino a 54 ospiti, ma in questo momento ce ne sono solo 46 ripartiti su 3 piani, con camere singole o adeguato distanziamento tra i letti. Il personale sanitario che aveva accusato i sintomi non tornerà al lavoro fino a quando l’Asl non darà il suo via libera, ma dal 16 marzo, dalla casa Madre di Vercelli sono arrivate suore in aiuto ed è stato assunto personale tramite un’agenzia interinale”.

Alla Stella Maris, dal 1 marzo, si sono registrati in totale sei decessi: “Quattro sono avvenuti in ospedale e due in struttura in stanze in isolamento. Delle ultime tre persone venute a mancare, una non positiva aveva 105 anni, e un’altra era affetta da una patologia allo stato terminale. Attualmente, due ospiti sono ricoverate in ospedale in attesa di prossima dimissione. Alla data odierna nessun paziente, controllato tre volte al giorno, ha febbre. I parenti ci sembrano, per quanto possibile, tranquilli e fiduciosi”.

“La nostra Oss, provata emotivamente, sta ingiustamente mettendo in discussione il lavoro dei suoi colleghi e della direzione della struttura – concludono – che hanno seguito tassativamente le prescrizioni dell’Asl che ringraziamo per l’aiuto. Grazie anche ai nostri dipendenti abbiamo ottenuto risultati apprezzabili e positivi, normalizzando e controllando la situazione. Cogliamo l’occasione per ringraziare il sindaco, l’Asl, le forze dell’ordine per l’aiuto e i famigliari per la fiducia e il sostegno che ci accordano in questo momento difficile”.

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