Lettera al direttore

La realtà

Il coronavirus è degli altri finché non capita a te o ai tuoi cari

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Foto d'archivio

C’è stato un momento in cui mi sono detta: «Per essere la prima volta che reciti in una fiction nel ruolo della coprotagonista, non sei male».

Poi mi sono guardata bene intorno e non ho visto alcun set cinematografico e nemmeno ho sentito alcuna voce che mi dicesse: «Ciak! Si Gira!».

No. Nessuna finzione. Tutta realtà. Io che me ne stavo tranquilla. Io che dicevo a tutti: «Andrà tutto bene».

E invece, da un momento all’altro, io e la mia famiglia siamo stati catapultati in una situazione surreale. Ecco che quel virus, di cui tutti parlavano e che magari tante volte abbiamo incrociato lungo la nostra strada, è diventato “roba nostra”. Questa volta si è fermato. Non ha salutato e non ha chiesto permesso. In fondo cosa potevamo aspettarci da un tipo così? È solo un virus. Solo un virus che possiede una forza spietata, assurda, che si approfitta dei più deboli e disarma anche i più forti. Separa fin da subito. E lascia un vuoto immenso.

Ai parenti delle persone morte di Covid 19 mancherà per sempre un passaggio. Non riusciranno mai a mettere un punto all’elaborazione del lutto. I loro defunti sono dei dispersi. Non li hanno più visti. Non hanno nemmeno potuto portargli un vestito da indossare per quel viaggio eterno. L’elaborazione del lutto rimarrà a metà, non si completerà mai.

Siamo stati programmati per sopravvivere alle più grandi tragedie. Siamo delle ottime macchine da guerra, a volte riusciamo a tenere i nervi ben saldi, ma non siamo perfetti. E il difetto più grande che abbiamo è che per credere davvero che certe cose siano avvenute abbiamo bisogno di vederle con i nostri occhi. E poi abbiamo anche un altro difetto: siamo sospettosi. E allora inevitabilmente ti chiedi: «Ci sarà davvero lui in quella bara? In quella bara che né io e né mia sorella abbiamo scelto e tanto meno visto? Ci saranno le sue ceneri in quella scatola?». Ci è voluta un’attesa di sei giorni prima che il suo corpo diventasse cenere. Sei giorni sono fatti anche di sei notti. Interminabili e buie. E ancora oggi non sappiamo quando potremo avere quella scatola.

Perché al Covid 19 non basta uccidere. Fa molto di più. Mette in quarantena gli altri, i parenti del suo prescelto. È lì che mette in opera la sua arma più appuntita. Separa. Per sempre. Senza se, senza ma. Senza punto.

Queste mie drammatiche parole vogliano essere di conforto a chi ha vissuto questa tragedia sulla sua pelle, tra le pieghe del suo cuore. Per dirgli: «Non sei solo e se hai bisogno io sono qua». Ma soprattutto per fare “paura” a chi è ancora incredulo. Per dirgli: «Stai a casa e proteggi i tuoi famigliari. Non abbassare la guardia anche quando si potrà uscire. Non rischiare. Fai come ti dicono gli esperti».

Di Covid 19 si muore davvero e senza punto. Nessuno merita di morire così e nessuno merita di subire un lutto del genere. Nemmeno il nostro peggior nemico. Smettetela di dire che andrà tutto bene. Non è andato tutto bene. Ma se rispetterete le regole, potremo ritornare alla normalità prima con qualche morto di meno.

Io e la mia famiglia ci teniamo a ringraziare il personale medico, infermieristico e ausiliario della SC Medicina d’urgenza – Degenza breve e la SC Medicina padiglione 9 dell’ospedale Villa Scassi di Genova, per la loro umanità e il conforto telefonico.

Giuliana Balzano e famiglia

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