Per un pensiero altro

Dal nulla al riflesso

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

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“Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?” È una domanda apparentemente strana: siamo infatti così abituati a noi stessi e al mondo, al nostro essere nel mondo, che può sembrarci insensato porci una domanda a questo riguardo. Se però ci fermiamo un momento a riflettere, ci rendiamo conto che una simile domanda è tutt’altro che scontata, che anzi è la domanda che sta prima di tutte le altre e in un certo senso è alla base di tutte le altre”. Così replica Camillo Ruini, teologo oltre che vescovo ed ex presidente della CEI, alla domanda che gli rivolge Andrea Galli nel saggio dialogico “Intervista su Dio”. È evidente quanto logico che il procedere del ragionamento di Ruini sia indirizzato ad una sorta di “razionale argomentazione intorno alla imprescindibilità dell’esistenza di Dio”, ho scritto logico e non ovvio proprio perchè il suo incedere argomentativo nulla presenta di ovvio e molto di estremamente stimolante.

Possiamo affermare che la domanda riproposta dal Ruini è la domanda prima, quella che è alla base dell’interrogativo filosofico, utero del pensiero umano, a qualsiasi latitudine. In un certo senso l’interrogativo, come in estrema analisi afferma Emanuele Severino, è la medesima questione ontologica posta da Parmenide che possiamo liberamente presentare in questo modo: “Se non è possibile che il qualcosa nasca dal nulla o che ad esso possa tornare, risulta inevitabile che l’essere, ciò che è, deve essere da sempre, per sempre e dovunque”. Il problema parmenideo nega, secondo un rigoroso procedere logico, l’esistenza reale del divenire. Ne consegue che l’essere parmenideo è logicamente immutabile, altrimenti diverrebbe altro dall’essere, cioè non essere, e questo non ha senso, ciò che non è non può essere. Non si tratta di un gioco di parole, per chi lo comprende profondamente, ma l’inganno è in agguato nelle strategie perverse del linguaggio. In un certo senso potremmo affermare, con Parmenide stesso, che il non essere, in quanto antitesi dell’essere, deve essere non essere e pertanto è. E non vogliamo scomodare la fisica contemporanea con il concetto di antimateria o materia oscura anche se sarebbe interessante condurre la nostra argomentazione anche in quel senso. Torniamo piuttosto all’incipit di Ruini. Il fatto che la nostra ragione si interroghi su ciò che lei stessa pone oltre i confini di sè , innesca un cortocircuito logico che richiede una risposta altrettanto lontana dalla sua pensabilità, cioè quello che nella teologia cristiana è il postulato del Dio creatore. Il nostro sguardo non può procedere oltre il big bang, che diviene l’inizio del tempo prima del quale, proprio perchè prima, non poteva che essere nel tempo e quindi essere. La tecnologia e la scienza contemporanea ancora balbettano ipotesi sulla possibilità che esista un inizio e, soprattutto, sulla ragione dello stesso, anzi, lasciano molto spesso l’arduo compito di dirimere la questione ancora una volta alla filosofia.

Il tema oggetto di questo nostro incontro ha un pioniere di prestigio, mi riferisco a Leibniz. Proviamo a sintetizzare il suo teorema logico: parte dal presupposto che se qualcosa esiste deve esserci necessariamente una ragione sufficiente alla sua esisitenza, una ragione che fa sì che ciò che è sia esattamente in quel modo. Sostiene, quindi, che tale ragione non può essere individuata in ciò che è, proprio perchè questo ha necessità di una ragione per essere; tale ragione, conclude, deve trascendere l’essere stesso e non può quindi che essere riconducibile a Dio. A mio modo di vedere tale procedere assomiglia molto ad una tautologia, ad un difetto logico che utilizza la tesi come fondamento alla dimostrazione di se stessa. Mi ricorda il barone di Munchhausen che si salva dalle sabbie mobili sollevandosi per i baffi. Con un salto temporale non indifferente potremmo arrivare alle risposte della moderna fisica quantistica che, sintetizzo e semplifico, dimostra la possibilità dell’origine del qualcosa dal nulla in base a rigorosissime ed assolute probabilità scientificamente riconoscibili. Anche in quel caso, potremmo affermare, è richiesto una sorta di atto di fede circa le “probabilità dell’ideterminazione”, come dire che, ricorrendo ad un linguaggio aristotelico, nell’infinita possibilità della potenza è certamente probabile l’atto di quel particolare che è la nostra realtà.

È possibile suggerire qualche altra ipotesi che non sia un atto di fede in un trascendentale o nell’incognita possibilistica della fisica? È dall’epoca di Esiodo che l’uomo si interroga sul grande tema del principio: se il tutto ha un inizio prima dell’inizio era il nulla? Ma se dal nulla non può originarsi alcunché, come può esserci un inizio? Ma se ciò che esperiamo è un esistente deve necessariamente esserci una causa prima incausata che lo ha generato? Non è contraddittorio affermare che ogni effetto deve essere conseguente ad una causa e contemporaneamente la necessità di una causa incausata? E soprattutto: perchè esiste qualcosa e non solo un eterno nulla? Quante domande e, necessariamente, nessuna risposta definitiva, solo la nostra ricerca! Mi cimento, con infinita modestia di fronte a tanto alto pensiero, con brevi considerazioni. Ricorrendo alle modalità heideggeriane possiamo propedeuticamente asserire che il ni-ente (non ente, cioè non ciò che è) non è il nulla (da nihil). Ma, sempre seguendo liberamente le tracce indiziarie della filosofia di Heidegger, abbiamo bisogno di pervenire ad una “radura”, di una apertura di luce nel nostro incedere in una oscura foresta, ed ecco che l’evento è la radura stessa: ma la radura ha bisogno, per esser-ci, della foresta e, in questo modo, non so far altro che rinviare la domanda a: perchè la foresta e non il nulla? Lo stesso filosofo richiede al suo lettore un approccio che vada oltre il principio logico di identità e non contraddizione, ma in questo modo il suo stesso pensiero diviene evento indicibile per definizione, ancora una volta “un’antimetafisica del trascendentale”.

E allora? Difficile, davvero difficile, forse il nostro pensiero ed il nostro linguaggio implicitamente si affermano come impossibilità ad una risposta così come l’essere umano diviene lui stesso un’interrogazione. Non so trovare altra conclusione che le parole che prendo in prestito da una cara ed inquieta amica Eva Gilan, pensatrice e poetessa sensibile che ha già trovato spazio in queste righe (L’amoralità edenica 8 maggio 19): “Tutto comincia col ni-ente e forse addirittura nel nulla, poi, d’un tratto, uno specchio mi rimanda la mia immagine ed ecco che mi ri-conosco e scopro di essermi già saputa ed è in quell’attimo di eternità che posso prendere coscienza del fatto che non sono stata creata e nemmeno mi sono autodeterminata, semplicemente ho compreso di essermi nota inverandomi”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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