Liguria. “Finora non ci siamo lamentati di niente. Lavoriamo tutti i giorni fino a 12 ore al giorno, ci siamo procurati da soli i dispositivi di protezione individuale senza chiedere nulla alle Asl. Ma questo è davvero inaccettabile. Qualcuno deve prendersi la responsabilità di decidere. Altrimenti ci rivolgeremo alla magistratura”. Sono su tutte le furie i direttori sanitari dei centri-salute della provincia di Savona. A scatenare la loro ira non è tanto l’impegno di lavoro extra richiesto in questa fase che prelude al picco di diffusione del coronavirus, quanto i rischi connaturati ad un aspetto che pare essere stato “tralasciato” dalle istituzioni sanitarie: la necessità di rilasciare le ricette ripetitive in formato cartaceo ai pazienti affetti da patologie croniche.
“L’Asl2 savonese – ricorda Francesco Bogliolo di Alassio Salute – ha varato tutta una serie di misure quali l’introduzione degli accessi calmierati negli ambulatori, la chiusura del sistema di prenotazione dei Cupa (dalla quale restano ovviamente escluse le urgenze) o ancora l’interruzione dell’attività ambulatoriale, della diagnostica non d’urgenza e dell’attività intramoenia. Tutto questo al fine di ridurre il numero di accessi nelle strutture sanitarie della provincia e di limitare questi ultimi soltanto ai casi di emergenza o di coronavirus. Nei centri salute e negli studi dei medici di famiglia, invece, continuiamo a vedere affluire pazienti che chiedono la ripetizione delle ricette per le patologie croniche. Ogni giorno riceviamo per questo motivo fino a 500 pazienti”.
Secondo Bogliolo ed i suoi colleghi degli altri centri salute savonesi, tale afflusso costituisce un rischio non da poco per i pazienti stessi e per tutto il personale sanitario e perciò richiedono una misura tanto semplice quanto efficace: la dematerializzazione delle ricette e la loro domiciliazione presso le farmacie, cioè il rilascio delle stesse prescrizioni in formato digitale con ritiro presso le farmacie. Queste possono essere inviate con un semplice “click” direttamente dal terminale del medico alla farmacia indicata dal paziente eliminando completamente la necessità di incontro vis-a-vis tra paziente e medico. Al momento, però, questa possibilità è del tutto esclusa.
“E’ da 15 giorni che chiediamo una deroga e la possibilità di trasmettere le ricette dematerializzate in farmacia – conferma Bogliolo – Nessuno ci ha ascoltato. E’ una cosa da paese del terzo mondo. E per colpa di una normativa nazionale non ci è nemmeno permesso portare le ricette cartacee nelle farmacie. E’ un’altra possibilità non del tutto risolutiva, ma almeno ci consentirebbe di non esporre noi stessi, il nostro staff e tutti gli altri pazienti a potenziali rischi”.
Regione e Alisa, infatti, continuano ad invitare la popolazione a non sovraccaricare ulteriormente i pronto soccorso: i medici di famiglia, dunque, rivestono ancora il ruolo di primo “baluardo” della salute dei loro pazienti. Con tutti i rischi che questo comporta: “Oggi in studio ad Alassio sono venute due persone da Vigevano, in Lombardia, chiedendo ricette per patologie croniche. Tralasciando le ovvie domande circa il fatto che due persone provenienti da una regione con zone rosse siano riuscite ad arrivare in Liguria, basta questo fatto per far comprendere i rischi a cui siamo tutti esposti. Non vogliamo rischiare la pelle per la scrittura di una ricetta che può essere tranquillamente ritirata in farmacia. Una delle nostre collaboratrici è a casa ed un collega in quarantena. Io stesso ho fatto dieci giorni di quarantena perché ho ricevuto in ambulatorio una persona risultata poi positiva al coronavirus”.
I rischi non sono solo per i medici: “Se un centro come Alassio Salute chiude perchè medici e staff sono in quarantena, la prima struttura sanitaria più vicina è l’ospedale di Albenga. Ciò significa lasciare 20 mila persone senza assistenza sanitaria sul territorio. Per questo motivo io e i colleghi vogliamo dire basta. La prossima volta che una persona del mio staff che si ammalerà perché qualcuno è venuto a chiedere una ricetta mi rivolgerò alla procura della Repubblica”.
Il responsabile di Pietra Medica, Edmondo Bosco, fa proprie le posizioni del collega Bogliolo: “Stiamo vivendo un momento di gravissima emergenza e perciò servono risposte chiare, efficienti, veloci, in tempo reale. Questo è un problema molto grave, che si aggiunge alle tante limitazioni che l’Asl ha introdotto nell’ultimo periodo. I medici dei centri salute sono in prima linea. Le cose che possono essere funzionali per noi e per il paziente. Se noi ci ammaliamo, chi cura il paziente? Siamo stanchi e seccati di come le cose stanno andando”.
“La domiciliazione delle ricette è una procedura semplice, che deve essere attivata: ci consentirà di lavorare meglio e non avere pazienti più in studio pazienti che vengono soltanto per una trascrizione e prescrizione di farmaci. Se dobbiamo curare pazienti più importanti non possiamo pensare di esporre noi ed il personale a rischi simili. Le strutture dei centri-salute sono ‘privilegiate’ perchè facendo visite su appuntamento i nostri pazienti non attendono molto in sala d’attesa. Ma è ugualmente necessario ‘eliminare’ il flusso di persone che vengono a richiedere una ricetta ripetitiva. Basterebbe posizionare, ad esempio, un gazebo fuori dalle strutture. Ma non possiamo fare tutto noi e avere tutti contro. Siamo arrabbiati”.
Il problema è ancora più sentito in Valbormida, che già da anni fa i conti con un servizio sanitario non sempre sufficiente a rispondere alle esigenze dei cittadini. Amatore Morando, responsabile di Cairo Salute, ricorda: “Abbiamo proposto la dematerializzazione delle ricette al direttore generale di Asl2 in due diverse occasioni. La richiesta è sta girata ad Alisa, che ha spiegato che la sua attuazione richiedeva il nullaosta di Farmitalia. Al di là di questi aspetti tecnici, introdurre la dematerializzazione delle ricette significa eliminare le code chilometriche che si creano davanti ai centri salute. A Cairo, grazie al supporto del sindaco, due volte a settimana effettuiamo la distribuzione delle ricette nel foyer del teatro cittadino. Ma si tratta di un servizio che comporta un rischio non indifferente per il personale del nostro centro, i volontari di Avo ed i boy-scout maggiorenni che ci aiutano”.
Ma per Morando “il grosso rischio è soprattutto per noi. Se si ferma a Cairo Salute si ferma l’assistenza sanitaria per la città e per Dego, Piana e frazioni. Ciò avrebbe ricadute disastrose sulla medicina del territorio. Non concedere la possibilità di dematerializzare le ricette è una cosa da pazzi. Non solo, è l’aspetto più negativo nell’ambito di una politica sanitaria volta a contenere i contagi del coronavirus. Alla fine è inutile farsi in quattro se troviamo ostacoli del genere. Che sono solo nostri, visto che le ricette dematerializzate vengono già usate dai veterinari e dai cittadini di Firenze, ad esempio”.
Giancarlo Markic, responsabile di Albenga Salute, ritiene che la dematerializzazione delle ricette sia “una soluzione ottimale e necessaria per centri come i nostri. Mi stupisce che in Regione non ci abbiano pensato. Dal punto di vista informatico riuscirebbero a realizzarla in pochi giorni”.
Per Markic questa soluzione “eliminerebbe il 60 per cento di rientri dei pazienti negli studi. Tanti, infatti, vengono una prima volta, chiedono la ricetta e poi tornano a ritirarla, oppure telefonano e poi passano in studio a prenderla. La domiciliazione in farmacia comportebbe un importante risparmio di passaggio. Speriamo che Alisa acceleri i tempi, non abbiamo tempo per stare a pensarci. Anche perché si tratta di un obbligo di legge”.
“La dematerializzazione, tra l’altro, sarebbe completa: sulla ricetta sono presenti tanti codici (che individuano noi, il paziente, il tipo di farmaco). Restare ‘al foglio di carta’ ormai ha poco senso. E comporta una perdita di tempo che i medici potrebbero impiegare per assistere i malati cronici o, in questa fase, di Covid 19. Il medico deve fare il medico, non il prescrittore”.