Savona. L’allarme a livello nazionale era già stato lanciato dal fondatore di Slow Food Carlo Petrini, ovvero la perdita dei piccoli negozi e delle botteghe artigianali e commerciali, cuore vitale dei centri storici di molte città. Una preoccupazione rimbalzata anche a livello locale, in particolare a Savona, dove le chiusure e le serrande abbassate (così come in altre località della provincia), sono purtroppo all’ordine del giorno.
Ecco quindi la richiesta-appello alla politica e alle istituzioni: misure per tutelare le nostre botteghe e mantenere vivi i centri storici, così come le zone periferiche, rioni e quartieri.
“Non posso non notare una serie di cartelli di affittasi e vendesi fra le botteghe chiuse” afferma Vincenzo Ricotta di Slow Food Savona.
“Non posso fare a meno di pensare che cosa sta succedendo e qual è la reale causa di questo cambiamento. Si dice affitti alti! Forse! Un cambiamento epocale nel modo di fare acquisti e dei consumi in genere. E nelle zone più periferiche e meno frequentate storicamente? Le risposte silenziose in me non sono positive…”.
“Da tempo la miriade dei supermercati e degli ipermercati è stata causa di uno svuotamento dei nostri centri storici per riversare, sempre più a ridosso del “ring” la magnificenza di capannoni semi-periferici (orrendi) pieni di ogni ben di dio e con i parking discretamente pieni. Oggi, in circa trent’anni, assistiamo a una nuova trasformazione nella quale i centri commerciali soffrono e il consumo abbandona, in parte, la dimensione della relazione diretta tra chi compra e chi vende. Infatti, lo sviluppo dell’acquisto online sta trasformando l’atto di un consumo da una relazione diretta ad una pratica asettica telematica che attraverso il clic materializza un oggetto fisico alla porta di casa con un corriere. Fenomeno in espansione che determina la nascita di un nuovo utilizzo del suolo per insediamenti centralizzati giganteschi, per soddisfare la domanda di stoccaggio e di “prossimità” alla consegna sempre più impellenti” aggiunge nella sua riflessione l’esponente di Slow Food.
“Senza dubbio, un sistema di distribuzione ad alto impatto ambientale per le migliaia di chilometri imposti da consegne polverizzate e aggravato dall’incidenza dei resi gratuiti. Il tassello ulteriore da analizzare è quello di un nuovo sottoproletariato delle consegne: un esercito di facchini e corrieri impiccati da tempi di delivery stabiliti da algoritmi infallibili e costretti a ritmi di lavoro impressionanti. Nei medi e grandi centri sono in aumento i servizi di consegna a domicilio dei pasti, che utilizzano ragazzi in bicicletta e motoretta, ove non ci sono i divieti, e i minimi compensi ormai sono conosciuti. Di fatto sono panacea per i grandi gruppi, concentrati in pochissime mani che producono guadagni enormi a differenza di chi sta alla base della piramide e dell’unità del franchising. Gruppi tassati meno (domiciliati anche all’estero) dell’edicolante, dell’artigiano e o negozio locale sotto casa. In pochi secondi, cosi riflettendo, mi rattristo e mi spiace che a farne le specie siano le nostre città e i nostri paesi e, Savona e dintorni, mi appare un vero e proprio bollettino di guerra quotidiano: librerie, alimentari, tabaccherie, edicole, abbigliamento. Se rallentate il passo e osservate meglio, l’elenco delle attività che ogni giorno chiudono o che vedono scricchiolare la propria stabilità è tangibile”.

“Una sgradevole e triste sensazione che si prova anche in auto. Si è puntato sul turismo e sulle crociere. In un degrado costante di normalità è ovvio che, come il commercio on line, il turismo di massa si avvicini al fenomeno di saldi positivi e che solo alcune modeste attività di consumo di massa ne traggono un minimo beneficio”.
“Oggi tanto se ne parla, ma non ci rendiamo conto di che cosa succede? Siamo consapevoli, noi e le nostre istituzioni, che questo paesaggio urbano e semi urbano si sta sgretolando in una maniera senza precedenti? E cosa si sta facendo?. Savona e provincia, come in altri località, perdono le botteghe storiche, perfino i banchi del nostro mercato civico e la nostra città, come nei paesi della nostra provincia, perde la vitalità dei centri storici e del salotto cittadino, con più ampie zone periferiche in degrado e per soli sobborghi residenziali. Perdiamo l’amico panetterie, l’amico giornalaio, l’amico dell’abbigliamento o calzolaio, perdiamo l’amico di vicinato e i presidi delle periferie”.
“Anche le botteghe etniche si sono accentate e sistemate inspiegabilmente dove una volta fioriva l’artigianato locale e il negozio di abbigliamento firmato, il ristorante di cucina tipica locale, il giornalaio che caratterizzava lo stesso centro storico e il salotto buono del paese. Ci trasformiamo in aridi consumatori poco consapevoli e aridamente legati all’offerta merceologica di basso prezzo. Non sarà facile arrestare un processo che è storico e probabilmente ineluttabile, ma bisognerebbe poterlo dirigere e ripensare attraverso regole più “umane” affinché sia in riequilibrio, positivo e promettente per tutti”.
Ma allora quali soluzioni? Quali esempi virtuosi? “Forse pensando e realizzando una nuova economia, fondata sui beni comuni e relazionali dove le botteghe di prossimità sono un baluardo che non dobbiamo e non possiamo perdere né in centro e meno che mai nelle aree marginali. Non possiamo permetterci di perdere quella civiltà artigiana e di piccolo commercio che ha dato identità ai nostri paesi. Un esempio lo abbiamo: i mercati dei contadini, che, pur con mille difficoltà, sono apparsi in qualche piazza per offrire un bene insostituibile, la relazione diretta tra chi produce il cibo e chi lo consuma” afferma ancora Ricotta.
“Questo non impedisce ai contadini di vendere anche online. Bè mi torna un po’ di sorriso, pensando, come portavoce Slow Food, che potrebbe essere possibile, con una mediazione multilaterale, coniare un modo nuovo di approcciare al consumo che sia rispettoso dell’ambiente e delle persone che di commercio vivono, attraverso un tavolo “slow shopping”. Provare a studiare un’azione collettiva che guardi al futuro e non al passato, che veda la bottega come paradigma di una multifunzionalità, strumento della contemporaneità, che possa offrire prodotti e consumi con sistemi moderni, attraverso un cambio generazionale dove i giovani dovrebbero essere interpreti principali e privilegiati partendo dalle tabelle merceologiche più virtuose ed ecosostenibili, premiate con agevolazioni e parziali defiscalizzazioni di partenza”.
“La modernità e l’uso dei sistemi informatici riqualifica e sviluppa se instaura una capacità intellettiva per vivere meglio, non per soffocare e abbandonare il nostro essere cittadini e schiavi consumatori, senza volto né voce”.
“Ogni bottega può essere un luogo dove manifestare un consumo consapevole, sotto casa o nel rione, nel quale il consumatore e un co-produttore abbiano come parole d’ordine una comune password: buon giorno, accompagnata da una stretta di mano e un arrivederci…” conclude l’esponente di Slow Food.