Interrogatori

Rapina al portavalori a Pietra, intercettazione in auto decisiva per incastrare i “simulatori”

Cimice installata sull’auto di Montorsi, che non ha potuto negare. Ciocca e Di Sarno avvalsi della facoltà di non rispondere

tribunale savona

Pietra Ligure-Loano. Commenti espliciti ad un articolo di giornale relativo alla rapina fatti alla convivente, registrati da una cimice nella sua auto. Questa intercettazione è stata l’autentico grimaldello che ha smascherato i tre autori della “rapina simulata” al portavalori a Pietra Ligure, avvenuta lo scorso 12 agosto.

La cimice era stata installata proprio dai militari sulla macchina di uno dei protagonisti delle vicenda, finiti in manette, Franco Montorsi, 63enne di Savona, che è stato interrogato ieri dal giudice delle indagini preliminari Fiorenza Giorgi, davanti al quale non ha potuto negare l’evidenza.

A seguito dell’accaduto, con la sparizione di circa 400mila euro, diversi erano stati gli articoli apparsi sui principali organi di informazione locale. Proprio la registrazione di una conversazione tra Montorsi e la compagna, con tanto di commento ad una delle notizie in questione, è stata decisiva.

Questa mattina, invece, è stato il turno di Michele Ciocca, 38enne guardia giurata di Ceva, e di Pietro Di Sarno, barista savonese di 27 anni: entrambi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Al momento, dunque, tutti e 3 restano detenuti in carcere, mentre proseguono le indagini dei carabinieri della compagnia di Albenga per risalire al bottino (del quale nemmeno Montorsi ha parlato nel corso dell’interrogatorio).

LA VICENDA. La “rapina simulata” è andata in scena lo scorso 12 agosto. Verso le 15.30, il dipendente dell’istituto aveva chiamato il 112 segnalando di essere stato rapinato poco prima da due soggetti, di cui uno armato di pistola, che si erano impossessati della somma di 400 mila euro per poi narcotizzarlo. 

Le indagini dei carabinieri della Sezione Operativa ingauna, coordinate dal sostituto procuratore Elisa Milocco, erano iniziate proprio con la ricezione della querela da pare del vigilante che ricostruiva i fatti: l’uomo aveva riferito di essersi recato al Cup del Santa Corona per prelevare il denaro e di essere stato avvicinato da un uomo armato di pistola mentre si trovava in bagno. Il malvivente aveva disarmato la guardia e lo aveva minacciato facendolo salire con lui sull’autovettura di servizio; da lì si erano diretti verso un parcheggio della Conad di Loano.

Lì ad attenderli c’era un secondo complice: i due, secondo il racconto, avevano intimato alla guardia di aprire i cassetti di sicurezza, costringendolo con la forza (uno dei due gli avrebbe stretto la mano dietro il collo). Terminato il prelievo di denaro (400 mila euro circa) lo avevano obbligato a salire sul veicolo e lo avevano narcotizzato; infine gli avevano restituito la pistola, riponendola in un cassetto porta oggetti. Verso le 15, quando aveva ripreso i sensi, aveva attivato l’allarme contattando la centrale e il 112.

Il racconto dell’uomo, però, ai militari era sembrato da subito poco convincente per alcune ragioni: tra queste il fatto che non sapeva identificare con decisione i due rapinatori e la coincidenza, appunto, potendo aprire solo alcuni cassetti, di aver scelto proprio quelli contenenti più denaro.

I militari hanno comunque passato al setaccio tutte le telecamere poste sul tragitto indicato, trovando riscontri sulla presenza di una macchina che aveva seguito il portavalori lungo il tragitto; dalla stessa auto notata al momento della rapina era sceso un uomo che si era diretto verso il Cup pochi secondo prima dell’arrivo della guardia giurata. 

Tramite l’intestatario del veicolo si è giunti all’identità del conducente dell’auto, che quel giorno non si era recato a lavorare. L’esame dei tabulati telefonici ha poi confermato la presenza di entrambi gli uomini (il proprietario dell’auto e quello immortalato dalle telecamere) nei minuti e nei luoghi indicati, ed anche i contatti tra i due. 

A convincere i militari del coinvolgimento della guardia è stata invece la coincidenza dei tempi, con i “rapinatori” che hanno raggiungo l’ospedale pochi secondi prima di lui, come se fossero al corrente dei suoi movimenti (il prelievo di denaro, da procedura, non avviene mai a un’ora precisa). Ulteriori indagini e pedinamenti alla fine hanno confermato la tesi degli investigatori: secondo loro i tre si sono messi d’accordo per rubare il denaro l’istituto di vigilanza.

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