Per un pensiero altro

La voce dell’assoluto

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

rubrica masci

“… e riporti di quà solo ciò che ti è rimasto sotto le unghie, che poca cosa la nettatura di unghie rispetto alla luce infinita che hai respirato oltre i confini”. Penso sia la più illuminante descrizione dell’esperienza estatica dell’artista, ma prima di arrivarci intendo condurre una breve premessa fondativa. Una delle più antiche e splendide descrizioni di cosa sia l’arte possiamo già incontrarla 2700 anni fa nel proemio della Teogonia esiodea quando il poeta racconta del suo incontro nei pressi del monte Elicona con nove splendide fanciulle. Niente di particolarmente osè, il poeta pastore era stato visitato dalle Muse che si aggiravano per quei lidi, non lontani dal monte Parnaso, le quali, in quella particolare occasione, non erano in compagnia del musagete, il divino Apollo.

Non intendo addentrarmi in questo momento nell’analisi dei fondamenti teologici e filosofici del pensireo arcaico greco, ci basti soffermarci sul fatto che le nove splendide fanciulle “mi ordinarono di cantare la stirpe dei beati, sempre viventi: ma esse per prime, e alla fine, sempre”, afferma il poeta pastore. Le fanciulle divine, insomma, ricorsero ad un umano per rendersi comprensibili ai mortali. Ecco come potremmo già intendere l’arte, la voce del divino che solo un intermediario tra il trascendentale ed il transeunte può udire e tentare di riportare a chi si consentirà tempo e modo per starla ad ascoltare. Si tratta di un’arte elitaria, accessibile solo a chi è più prossimo al cielo e che si reputa degno di poterne comprendere le “confuses paroles”, come direbbe Baudelaire. È evidente che solo chi si concede ad un ascolto profondo può intenderne il valore e la profondità di veggenza che altrimenti, se il fruitore non si “rende valle dell’eco”, ecco che il miracolo non si compie, e a nulla vale la fatica dell’artista.

L’arte è, così intesa, come l’amore: c’è bisogno di chi si fa portavoce dell’assoluto come di chi sa intenderne il suono, l’arte è il momento sublime in cui si compie l’unione di entrambe che da esseri umani divisi, con vite, storie, valori ed esistenze diverse, divengono “une ténébreuse et profonde unité”, ed ancora ricorro ad un verso baudleriano. In questo modo superano le limitazioni del principium individuationis per sapersi “unità altrove per un istante di eternità”. È certo pleonastico, per i nostri attenti lettori, precisare che un istante di eternità non può certo essere circoscritto da limiti temporali. Ma torniamo ai versi di Esiodo: è importante sapere che le Muse sono le protettrici delle arti e la fonte dell’ispirazione per il poeta, è evidente che per ispirazione va inteso il sussurro divino che coglie le sensibili orecchie di chi crede nell’impossibile che, infatti, invera l’impossibile proprio avvertendo quella voce il cui messaggio, in seguito, non può che regalare ad alri. Altro aspetto che richiede la nostra attenzione è che le nove fanciulle sono figlie di Zeus, padre assoluto degli dei e signore dell’Olimpo, e di Mnemosine, dea della memoria. Cosa volevano dirci gli antichi Greci con il proemio alla loro Teogonia? Evidentemente potremmo sintetizzare affermando che ogni Musa, cioè ogni forma d’arte, è l’unione indissolubile tra memoria ed assoluto, insomma: l’arte è memoria di assoluto. Ma come è possibile avere memoria di qualcosa che è oltre il tempo e lo spazio? Come e quando è occorso all’artista di poter incontrare l’assoluto e come gli è lecito ricordarlo e come gli è possibile renderlo comunicabile?

Come sempre il nostro appuntamento sintetizza in poche righe un pensiero che si presta a ben più ampia trattazione, non ce ne vogliano i “filosofi laureati”, ci limitiamo in questa sede a chiudere il cerchio del nostro argomentare ritornando all’incipit dell’articolo. La definizione è del mio amico Gershom che, chi mi legge ben lo sa, è fonte inesauribile di riflessione geniale. Il suo modo di intendere l’arte chiarisce anche il meraviglioso dono della “felice disperazione” che è riconoscibile in ogni artista: mi spiego. Gershom afferma che l’artista sia condotto, dalla magia che lo abita, oltre i confini di quelli che lui chiama i “regni esterni”, ed è lì, “aldilà ed altrove”, che trasumana, non più essere umano, non figlio di tempo e spazio, di logiche causali e determistiche, là dove ascolta le Muse direbbe Esiodo, ed è in quel non luogo che coglie l’assoluto ma abitato dalla precisa consapevolezza che il magnifico attimo gli è concesso solo in quell’infinito istante di rapimento. Risucchiato nel qui ed ora il poeta cerca disperatamente di afferrarsi alla luce immensa che sta respirando, graffia l’assoluto con le fragili unghie della passione libera e subito si ritrova mortale tra i mortali, abitato dall’eterno e disperatamente proteso a poter raccontare tanta bellezza agli esseri umani che ama altrettanto disperatamente, ed in quel momento ancora di più.

Ecco allora chiarita l’allegoria gershomiana: ” … e riporti di quà solo ciò che ti è rimasto sotto le unghie, che poca cosa la nettatura di unghie rispetto alla luce infinita che hai respirato oltre i confini”, eppure che altro può fare l’artista se non tentare pervicacemente di compiere il miracolo, ben consapevole della pochezza dei propri mezzi, della sua condizione sisifea, dell’inevitabile fallimento a tale impresa, ma eternamente agito dell’impossibilità a rinunciarci.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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