Savona. Questa mattina in tribunale a Savona Pier Paolo Pizzimbone, ex commissario provinciale di Fratelli d’Italia, ha patteggiato una pena di un anno, undici mesi e 26 giorni di reclusione e 1000 euro di multa per estorsione aggravata (tentata e consumata), con la sospensione condizionale della pena, nell’ambito del procedimento penale relativo all’inchiesta sui rifiuti ad Alassio.
Insieme a lui, davanti al giudice Fiorenza Giorgi, ha definito la sua posizione con un patteggiamento, ad un anno, dieci mesi e 20 gironi di reclusione e 2400 euro di multa per riciclaggio e ricettazione, anche Mario La Porta, pensionato ed ex consigliere a San Bartolomeo, che secondo l’accusa era uno stretto collaboratore di Pizzimbone.
L’inchiesta, che nel dicembre scorso era sfociata in un’ordinanza di custodia cautelare, era stata coordinata dai pm Chiara Venturi e Massimiliano Bolla. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Pizzimbone aveva commesso un’estorsione (tentata per 96 mila euro e riuscita per 16 mila euro) a danno dei titolari della Alassio Ambiente, un’associazione temporanea di imprese siciliane tra EcoSeib, Icos e Ecoin, che gestisce il servizio di igiene urbana per il Comune della città del Muretto.
Durante l’interrogatorio fiume dello scorso 27 dicembre, Pizzimbone aveva ammesso di aver preso dei soldi da uno dei soci della società consortile Alassio Ambiente, ma aveva negato con decisione di aver fatto minacce estorsive. Al contrario, aveva spiegato che tra lui e il management della società consortile esisteva un accordo che prevedeva il pagamento di somme di denaro (96 mila euro all’anno per quattro anni) in cambio di una sorta di servizio di consulenza ed aiuto per continuare a gestire il servizio di raccolta rifiuti ad Alassio ed ammorbidire l’amministrazione comunale.
Nel corso dell’indagine la polizia aveva anche monitorato il versamento da parte della società consortile di una tranche di denaro da 16 mila euro nelle mani di Mario La Porta, ex manager considerato appunto stretto collaboratore di Pizzimbone che era il destinatario dei soldi.
Secondo l’accusa, l’ex commissario di Fdi aveva quindi fatto pressioni su un rappresentante della società consortile facendogli capire di poter “ammorbidire” la posizione della giunta Melgrati (che nell’ultimo periodo aveva elevato diverse sanzioni, minacciando anche di rescindere il contratto con l’Ati) a fronte del pagamento di una somma di denaro. Soldi, 96 mila euro all’anno, che Pizzimbone avrebbe incassato attraverso un accordo di consulenza a nome di La Porta. Proprio quest’ultimo, nel suo interrogatorio, aveva ammesso che quello a suo nome era un contratto fittizio, siglato soltanto per incassare in maniera apparentemente lecita i soldi destinati a Pizzimbone.
La Porta aveva però negato con decisione di essere al corrente che quei soldi fossero provento di un’estorsione: insomma l’ex manager avrebbe fatto intendere chiaramente al gip di essere consapevole che la provenienza del denaro non fosse “pulita”, negando però di sapere che i soci di Alassio Ambiente fossero stati minacciati per pagare.
Nell’inchiesta su ambiente e rifiuti, infine, è stato indagato, per il reato di tentato abuso d’ufficio in concorso con Pizzimbone, anche Rocco Invernizzi, l’ex assessore comunale all’ambiente di Alassio (si era dimesso quando è venuto a conoscenza dell’indagine) per il quale i pm Venturi e Bolla avevano chiesto il rinvio a giudizio.