Per un pensiero altro

Il coraggio di aver paura

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Pensiero Altro 10 luglio

“Non disperare della vita. Tu possiedi senza dubbio forze sufficienti per superare i tuoi ostacoli. Pensa alla volpe che si aggira per campi e boschi in una notte d’inverno per soddisfare la sua fame. Nonostante il freddo e i cani da caccia e le trappole, la sua razza sopravvive. Io non credo che nessuna di loro si sia mai suicidata”. L’affermazione di Henry David Thoreau, carica della forma tipicamente epifanica del suo argomentare, ci offre un interessante spunto di riflessione: in linea di massima nessun essere vivente si suicida, il fenomeno è quasi peculiare dell’essere umano. Aggiungerei, preliminarmente, anche un ulteriore riferimento al pensiero del mio caro amico Albert Camus che vede il suicidio come una formidabile opportunità, in effetti, come sostiene, potremmo ogni giorno decidere di suicidarci, la scelta opposta diviene pertanto un SI alla vita.

Il punto è proprio questo, dire si alla vita, come scelta, come possibilità, proprio perchè avremmo modo di perseguire il percorso opposto, opzione preclusa alle altre specie viventi. Insomma: il libero arbitrio alle sue estreme conseguenze. Scegliere di nascere non è una nostra opzione, scegliere di vivere si. Certo, l’istinto di sopravvivenza è la forza maggiore che ci muove e non è per niente semplice ostacolarlo, eppure non è nemmeno così raro il contrario. Evidentemente non prendo minimamente in considerazione il tema del diritto al suicidio che ritengo inalienabile, mi interrogo, però, sul concetto di coraggio, sia coraggio di vivere che coraggio di non farlo. Per prima cosa va precisato che avere coraggio, contrariamente a quanto generalmente si presume, non significa non avere paura.

Provo a chiarire: se vi chiedessi, per fare un esempio che rasenta la tautologia, se avete il coraggio di bere un bicchiere di acqua potabile credo che nessuno tremerebbe per la sfida. Questo implicherebbe di aver a che fare con esseri assolutamente coraggiosi? Ovviamente la domanda è retorica. Se, invece, vi chiedessi se ve la sentireste di entrare nel paese di Alibante suppongo che mi chiedereste cosa dovrebbe mai avere di così rischioso il farlo, questo per il semplice motivo che, al contrario del bere dell’acqua, l’eventuale accesso ad Alibante vi risulterebbe nuovo e l’ignoto, come sappiamo, crea comunque un certo allarme. Se, in risposta alle vostre richieste di informazioni, precisassi che Alibante è un covo di criminali assetati di sangue, di bestie feroci ed affamate, suppongo che qualche timore sorgerebbe in chiunque. Se poi, ancor più correttamente, precisassi che si tratta di un luogo fantastico che ho creato come scenario del mio primo romanzo (ahimé sono passati da allora alcuni decenni) utilizzando uno scaltro stratagemma di Ulisse nel suo racconto autobiografico ad uso dei Feaci, allora nessuno più avvertirebbe alcuna paura.

Non aver paura di qualcosa perché la si conosce come innocua, quindi, non è coraggio, ma nemmeno lo è se non si ha consapevolezza dell’eventuale pericolo, in quel caso è incoscienza. Un conto è il caso di un bambino che affronta da sprovveduto un pericolo senza temerlo, altro è per un consapevole adulto. Possiamo allora affermare che per essere coraggiosi è necessario aver paura, consapevolezza del rischio e del pericolo ma essere capaci di non farsi sopraffare, di vincere la paura e affrondare il rischio. Può capitare di aver paura di aver coraggio, molto più comune è non avere il coraggio di aver paura, senza fingere, senza ostentare false sicurezze, rifiutandosi di recitare il ruolo del macho solo perché qualcuno o qualcosa ha deciso che è ciò che è bene fare. Quanto è banale e tristemente adolescenziale il comportamento dell’adulto che si vuole come un clone di Rambo.

Ora credo di aver chiarito i termini generali del problema, bene, possiamo tornare al pensiero iniziale che potremmo proporre come dilemma: richiede più coraggio la scelta di vivere o di rinunciare alla vita? Per mia esperienza diretta, nel senso che sono stato testimone molto prossimo di persone che hanno scelto il suicidio, non posso davvero affermare che la loro sia stata una scelta vigliacca, così come ho incontrato tanto coraggio nel vivere ed in altri casi tanta vigliacca rinuncia nel sopravvivere. Un essere umano, caro Thoreau, non è un animale, ha una qualità di pensiero estremamente più complessa, si fa carico di scelte che richiedono un’enorme dose di coraggio e, ancora più importante, di responsabilità. Noi non siamo specie, siamo singolarità condivisa. Vivere non è sopravvivere, deve avere i caratteri della gioia e della dignità, non è un “comunque”!

Un’ultima nota che può sembrare ovvia ma che è bene ribadire: sarebbe più facile e più allegro poter vivere senza necessariamente dare prova di stoico coraggio nella sopportazione della “fatica di vivere”, la vita potrebbe essere decisamente più facile, gratificante, invasa di luce, se solo ogni singolo si rendesse conto che la propria eccezionale ed irripetibile originalità la può riconoscere negli occhi di tutti gli altri.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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