Per un pensiero altro

Lo scorrere e l’essere

"Per un Pensiero Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

rubrica masci

“Anche la distinzione tra presente, passato e futuro diventa quindi fluttuante, indeterminata. Come una particella può essere diffusa nello spazio, così la differenza fra passato e futuro può fluttuare: un avvenimento può essere insieme prima e dopo un altro”.

Certo, l’affermazione di Carlo Rovelli, estrapolata dal suo ultimo libro “L’ordine del tempo”, può apparire provocatoria ad una prima lettura, ma proviamo a riflettere insieme: forse davvero non ha senso disquisire sulla direzione del tempo, sul suo scorrere, quello che nella fisica viene definita la freccia del tempo. Forse, come ipotizza la fisica più recente, il tempo è un eterno istante. È interessante sottolineare che nella Grecia antica si utilizzavano ben tre diverse parole per indicare il tempo: Aion, Kronos e Kairos. Come è noto, per i Greci era normale divinizzare i concetti cardinali del proprio pensiero, azione che non mi sembra poi così distante dalla divinizzazione attuale di Dio e Scienza, ma lascio ad un altro momento questo tema. Ciò che è particolare nel loro agire è, piuttosto, l’antropomorfizzazione del divino (anche su questo sarebbe interessante un approfondimento delle costanti in tal senso circa il pensiero cristiano, ma non è il momento), insomma, i tre termini si riferivano a tre diversi dei.

Per primo vi presento quello che è sopravvissuto nella nostra cultura, è quel Kronos che conosciamo, per reminiscenza scolastica, come il dio del tempo. In realtà il tempo, in senso compiuto, sarebbe da riconoscere in Aion, cioè l’eterno, infinito, immoto, senza inizio né fine né, ovviamente, cambiamento. Spesso viene rappresentato come essere antropomorfo ma dotato di testa leonina ed avvolto dalle spire di un serpente. Per terzo ho lasciato Kairos, chi fosse interessato a qualche “riflessione altra” su questo personaggio può leggere, sempre in questa rubrica, l’articolo del 26 Settembre 2018 dal titolo “Il toupet del Kairos”, qui basterà ricordare che rappresenta “il tempo opportuno”.

Torniamo quindi alla coppia Kronos- Aion: Kronos appartiene alla seconda generazione, come ci racconta Esiodo nella Teogonia, nell’età ancora pre-olimpica. Nasce da Uranos e Gea ed è il responsabile dell’evirazione di suo padre in collaborazione con la madre, gesto che gli consente di divenire la divinità di maggior potere in quel momento, ma afflitta dall’angoscia di essere esautorata da un figlio come gli fu predetto ed accadde. Nato da un atto cruento, prosegue la sua attività ingoiando i propri figli, insomma, distrugge ciò che ha generato per continuare ad affermare se stesso. È l’immagine del tempo che inghiotte il futuro trasformandolo in passato per essere lui stesso il presente. Operazione feroce ed egoriferita che celebra la vittoria con la propria sconfitta, affermandosi soffre, prima del terrore di essere esautorato dai figli, quindi, per il senso di colpa di averli distrutti così da generarne altri che subito si vede costretto ad eliminare per conservare l’agognato potere. Una sorta di immenso Caradrio impegnato solo nell’ingoiare e defecare. È evidente la sua incapacità di amare la donna con la quale si unisce, è in grado solo di usarla per procreare ma subito è costretto ad esautorarla eliminandone i generati e cercando di controllarla, di limitarla. Sa di essere causa del proprio dolore ma lo nega a se stesso: un non vedente terrorizzato dall’idea di poter vedere ciò che lo spaventerebbe, un inetto che si consegna alla falsificazione rasserenante ed annichilente dell’auto inganno esiliandosi in quella penombra crepuscolare dove la promiscuità è celebrata come gloria. Kronos è il tempo al maschile, lo scorrere. Per lui ciò che importa è la misurabilità, l’ordine, l’irreversibilità.

La sua antitesi, il femminile, è Aion, maschile come rappresentazione ma femminile come essenza, l’eterno, che non si cura di ciò che appare ma di ciò che è perché lei stessa lo rende reale con un atto d’amore. Una suggestiva analisi teologico psicologistica afferma che il femminile era temuto ed accusato dall’uomo come responsabile della morte, poichè la donna determina l’inizio della vita deve essere responsabile della fine della stessa, io credo che in realtà non sia il femminile che genera la morte ma il maschile, solo che è necessario cambiare prospettiva per comprenderlo. Mi rendo conto di aver scoperchiato un complesso vaso di Pandora e di non avere tempo, in questa sede, per ulteriori chiarimenti, allora che basti ricollegarci all’affermazione che apre questo nostro incontro: la tesi di Carlo Rovelli è che la vista dell’uomo è sfuocata, così da non vedere ciò che è, il mondo micro, e consentirsi alla percezione secondo la nostra vista che, costituendo l’elemento in-formativo della nostra conoscenza, ci permette di sopravvivere in un mondo falso. Credo sia corretto affermare che la selezione naturale che ci ha resi funzionali a questa presunta realtà, in verità ci inganna ma è utile, ma utile a chi, a cosa? Se riuscissimo a guardare il mondo con gli occhi interiori, quelli che negano il concetto di proprietà e che non possiamo quindi possedere ma che ci possono regalare quello che, nella prospettiva convenzionale, sembra essere uno sguardo sfuocato … se cominciassimo a capire, scopriremmo essere questo lo sguardo vero, ebbene, liberi infine dalla prigione del bene e del male, delle regole, dei divieti, saremmo noi stessi l’eden che crediamo di aver perduto e verso il quale siamo convinti di dirigerci mentre ce ne allontaniamo ogni giorno.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.
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