Nessuna responsabilità

Definitivamente archiviata l’accusa di disastro ambientale colposo per 14 dirigenti di Tirreno Power

Secondo il gip non avevano "poteri decisionali" o sono stati in carica per periodi troppo brevi per poter evitare il reato ipotizzato dalla Procura

Savona. E’ stata definitivamente archiviata l’accusa di disastro ambientale colposo che era stata mossa a quattordici dirigenti di Tirreno Power nell’ambito della maxi inchiesta sulla centrale termoelettrica di Vado.

Nei giorni scorsi il giudice per le indagini preliminari Fiorenza Giorgi ha infatti firmato il decreto di archiviazione per Emilio Macci, Stefano La Malfa (capi centrale rispettivamente dal 1999 al 2000 e dal 2001 al 2005), Massimiliano Salvi (direttore generale dell’azienda nominato nel febbraio 2014), Francesco Claudio Dini, Antonio Fioretti, Andrea Mangoni, Sergio Corso, Marco Ferrando, Roberta Neri, Marco Staderini, Ferdinando Pozzani, Gianluigi Riboldi, Sergio Agosta e Luigi Castellaro (tutti membri del cda negli anni tra il 2002 al 2014).

I quattordici manager dell’azienda erano stati indagati (insieme agli altri dirigenti che oggi sono a giudizio nel processo relativo alla centrale) dall’allora Procuratore Francantonio Granero secondo cui, anche loro erano responsabili di non aver limitato l’inquinamento prodotto dalle emissioni dei gruppi a carbone dell’impianto di Vado Ligure. Una tesi che non era stata condivisa dai pm Daniela Pischetola e Vincenzo Carusi che, nel gennaio 2017, avevano chiesto l’archiviazione.

Una conclusione che è stata accolta in pieno dal gip Giorgi che ha rilevato per i manager e membri del cda di Tirreno Power un'”assenza di poteri decisionali che consentissero loro di incidere sul decorso causale ed evitare l’evento lesivo”, ma anche “la brevità della loro durata in carica”.

Nello specifico per Macci e La Malfa il gip parla di “limitatezza del periodo di servizio” e di “impossibilità di dimostrare che le loro eventuali omissioni abbiano inciso sulla verificazione dell’evento”. Per questo esclude “la sussistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione penale nei loro confronti”.

Per quanto riguarda i membri del cda “tutti sono rimasti in carica per periodi limitati, che non superano i due anni, e ciò induce a ritenere che non siano stati in grado di incidere nelle scelte aziendali in materia di tutela ambientale”. Il giudice, inoltre, rileva anche che “nessuno ha mai fatto parte del comitato esecutivo né di quello di gestione”, ovvero i due organi che avevano il compito di far rispettare tutte le prescrizioni ambientali.

Infine, in relazione alla posizione di Salvi, nella sua ordinanza il gip fa notare che il dirigente è stato nominato nel febbraio 2014, ovvero un mese prima (11 marzo 2014) che venisse disposto il sequestro dei gruppi a carbone della centrale. Per questo – scrive il magistrato – “deve escludersi che avesse la possibilità anche solo di ridurre gli effetti dannosi di una condotta materialmente tenuta da altri”. Stesso discorso per Riboldi che era stato nominato consigliere di amministrazione dopo il sequestro e quindi dopo la consumazione del reato.

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