La decisione

Sì alla “class action” contro Tirreno Power: ammessi come parti civili i cittadini residenti nella “zona di ricaduta” della centrale

Il giudice ha accolto le costituzioni di parte civile anche per le associazioni ambientaliste, il Ministero della Salute e quello dell'Ambiente

tribunale aula magna

Savona. Sono state ammesse tutte le parti civili, compresi i circa cinquanta cittadini riuniti in una sorta di “class action”, che avevano formalizzato la loro costituzione nell’ambito del processo per disastro ambientale e sanitario colposo nel quale sono a giudizio ventisei persone tra manager ed ex manager di Tirreno Power.

La decisione del giudice Francesco Giannone è arrivata nel pomeriggio di oggi dopo che, questa mattina, i difensori degli imputati, ma anche il legale che rappresenta Tirreno Power come responsabile civile, avevano chiesto l’estromissione di alcuine delle parti civili, in particolare quella delle persone fisiche e di alcune delle associazioni ambientaliste.

All’esito dell’udienza di oggi, quindi, sono state ammesse come parti civili una cinquantina di cittadini (tutti residenti nella cosiddetta “zona di ricaduta” delle emissioni – inquinanti secondo l’accusa – della centrale), il Ministero della Salute, Accademia Kronos, il Codacons, Cittadinanza Attiva, Adoc, Articolo 32, oltre alle sei associazioni ambientaliste, Greenpeace, Medicina Democratica, Legambiente, Uniti per la salute, Wwf e Anpana, e il Ministero dell’Ambiente che si erano già costituite in udienza preliminare.

Per quanto riguarda le persone fisiche (formalmente le costituzioni di parte civile sono 48 ma alcune includono appunto anche dei minori e di conseguenza il numero totale di cittadini coinvolti è più alto) la richiesta di risarcimento non era legata alle lesioni o al danno per la salute, ma all’ipotesi di “danno da metus” consistente nell’ansia sofferta per il timore di contrarre gravi patologie in conseguenza della loro prolungata esposizione a fattori di inquinamento atmosferico derivanti dalle emissioni prodotte dalla centrale gestita da Tirreno Power. Si tratta quindi di un danno morale dovuto alla paura di poter contrarre delle patologie a causa dell’esposizione alle emissioni della centrale.

Secondo la tesi dei legali di parte civile, gli avvocati Laura Mara e Rita Lasagna (che assistono i cittadini tutelati da Medicina Democratica che sta portando avanti una sorta di class action), quindi, le persone che loro rappresentano avrebbero subito un aumento del rischio di potersi ammalare ed avrebbero anche modificato il loro stile di vita a causa del timore e dello stress di poter contrarre le patologie presumibilmente causate dalle emissioni dell’impianto di Tirreno Power.

Argomentazioni che hanno convinto il giudice Francesco Giannone della sussistenza delle condizioni legittimanti l’azione dei cittadini come si legge nella sua ordinanza: “fatta salva ogni valutazione in merito alla dimostrazione dell’effettivo danno lamentato dalle parti civili (che dunque potrà essere effettuata solo all’esito del dibattimento, unitamente al giudizio in ordine alla responsabilità degli imputati), non può negarsi in questa sede che la situazione soggettiva dalle medesime fatta valere sia in astratto degna di tutela risarcitoria”.

“Il delitto di disastro colposo (in quanto appunto reato contro la pubblica incolumità, avente natura plurioffensiva oltre che di pericolo presunto) – prosegue il giudice – incide anche sul diritto alla salute, che tra le sue manifestazioni presenta il diritto ad un ambiente salubre, a cui va riconosciuta tutela aquiliana non solo in via generalizzata ed indifferenziata (attraverso la disciplina in materia di inquinamento) ma anche diretta ed autonoma, in favore dei singoli privati ai quali la condotta illecita abbia cagionato un turbamento e dunque un’alterazione, sia pure transeunte, dell’equilibrio psichico”.

“Deve pertanto concludersi che, avendo le suddette parti civili addotto (secondo una progettazione, si ribadisce, da sottoporre al vaglio dibattimentale e che allo stato non può essere negata, atteso che l’esposizione ad un fattore di inquinamento quale quello atmosferico non può essere rigorosamente delimitata a priori né dal punto di vista geografico né in considerazione degli spostamenti e dei comportamenti tenuti dalle singole persone offese, che peraltro ben possono avere maturato la consapevolezza della loro esposizione a tali fattori in tempi successivi e dunque aver sviluppato stati d’ansia anche ex post, ma sempre alla luce di possibili evoluzioni negative future della propria condizione) la lesione di tale diritto, in sé suscettibile di tutela risarcitoria, vanno rigettate le richieste volte alla loro estromissione” si legge ancora all’ordinanza.

Infine, rispetto alle altre parti civili, il giudice Giannone ha accolto le richieste di ammissione motivando così la sua scelta: “Quanto poi alle parti civili diverse dalle persone fisiche, se con riguardo alla costituzione del Ministero della Salute ed al Ministero dell’Ambiente la loro legittimazione si ricava appunto da essere tali organi portatori istituzionali degli interessi diffusi riferiti rispettivamente alla tutela dell’ambiente ed alla sua salubrità, con riguardo alle associazioni deve osservarsi che sono legittimata a costituirsi parti civii iure proprio nell’ambito di un procedimento relativo a reati in materia ambientale come questo ‘sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto alla tutela ambientale’. Se si esaminano gli statuti delle associazioni, deve prendersi atto che tutte contemplano, tra i loro scopi istituzionali, quelli relativi alla tutela del diritto alla salute ed alla difesa dall’ambiente ed hanno addotto di aver svolto attività ad essi pertinenti”.

Intanto dall’azienda fanno sapere: “Siamo soddisfatti che la discussione preliminare si sia conclusa rapidamente. Vogliamo che si arrivi prima possibile ad accertare la verità. Sono passati cinque anni dal sequestro. Alcuni mesi fa sono stati pubblicati i dati ufficiali della Regione Liguria che documentano come la centrale non abbia avuto nessun effetto sulla salute e un impatto irrilevante sulla qualità dell’aria che dalla chiusura dell’impianto è rimasta invariata. Ora è il momento di ristabilire la verità, di restituire dignità e serenità ai lavoratori e ai cittadini, travolti da una campagna di paura senza fondamento che ha contribuito ad aggravare la crisi del territorio”.

A giudizio per la nota vicenda della centrale ci sono: Giovanni Gosio, direttore generale dal 2003 al 2014; Massimo Orlandi, presidente del Cda in diversi periodi nonché membro del Comitato di Gestione; Mario Molinari, Andrea Mezzogori, Jacques Hugé, Denis Lohest, Adolfo Spaziani, Jean-Francois Louis Yves Carriere, Pietro Musolesi, Domenico Carra, consiglieri d’amministrazione e, per i primi sei, membri del Comitato di Gestione, in periodi differenti; Mario Franco Leone, presidente del Da tra 2010 e 2014; Olivier Pierre Dominique Jacquier, Giovanni Chiura, Aldo Chiarini, Pascal Renaud, Agostino Scornajenchi, Giuseppe Gatti, Alberto Bigi, Charles Jean Hertoghe e Luca Camerano, tutti consiglieri d’amministrazione e membri del Comitato di Gestione negli ultimi anni; Pasquale D’Elia, capo centrale dal dicembre 2005 al 2014; Ugo Mattoni, direttore della Direzione Energy Management dal 2004 al 2014; Maurizio Prelati, direttore della Direzione Produzione dal 2008 al 2014; Guido Guelfi, direttore della Direzione Ingegneria dal 2004 al 2014; Andrea De Vito, direttore della Direzione Amministrazione Finanza dal 12007 al 2014; Claudio Ravetta, direttore Produzione dal 2004 al 2008 e vice direttore generale dal 2008.

In un primo momento il numero degli indagati per i reati di disastro ambientale e sanitario era più alto, ma, dopo aver raccolto il testimone dall’ex procuratore Francantonio Granero, oggi in pensione, i sostituti procuratori Daniela Pischetola e Vincenzo Carusi avevano chiesto l’archiviazione per quattordici dirigenti della Tirreno Power: Luigi Castellaro, Emilio Macci, Stefano La Malfa, Antonio Fioretti, Sergio Corso, Marco Ferrando, Roberta Neri, Marco Staderini, Sergio Agosta, Ferdinando Pozzani, Gianluigi Riboldi, Francesco Dini, Andrea Mangoni e Massimiliano Salvi.

IL SEQUESTRO

I gruppi a carbone furono sequestrati nel marzo 2014 dalla Procura di Savona. Secondo l’allora procuratore Francantonio Granero (oggi in pensione) i fumi emessi dai gruppi a carbone avrebbero causato un aumento dell’inquinamento nonché della mortalità dei residenti: a sostegno di questa tesi negli anni sono stati prodotti diversi studi legati sia alla diffusione dei licheni (per l’aspetto ambientale) che dei tumori (per quello sanitario). Sotto accusa anche la mancata installazione da parte dell’azienda di centraline a camino che permettessero di monitorare in modo più efficace la composizione di quei fumi e la rispondenza ai dettami di legge. Alla chiusura hanno fatto seguito mesi di polemiche furibonde tra ambientalisti e sostenitori dell’azienda, con gli operai finiti in cassa integrazione e l’indotto in crisi. Alla fine la centrale è stata riaperta, ma soltanto a metano, con una sostanziale diminuzione della forza lavoro.

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