Liguria del gusto

Quando le “pescelle” vendevano pesci ancora vivi per le vie dei borghi

"Liguria del gusto e quant'altro" è la rubrica gastronomica di IVG, ogni lunedì e venerdì

Liguria del Gusto

“Liguria del gusto e quant’altro” è il titolo di questa rubrica curata da noi, Elisa (alla scrittura) e Stefano (alle ricerche), per raccontare i gusti, i sapori, le ricette e i protagonisti della storia enogastronomica della Liguria. Una rubrica come ce ne sono tante, si potrà obiettare. Vero, ma diversa perché cercheremo di proporre non solo personaggi, locali e ricette di moda ma anche le particolarità, le curiosità, quello che, insomma, nutre non solo il corpo ma anche la mente con frammenti di passato, di cultura materiale, di sapori che si tramandano da generazioni. Pillole di gusto per palati ligustici.

elisa stefano pezzini

Chi ricorda le “pescelle”, le donne, quasi sempre mogli di pescatori, che con i loro carretti, con i figli di pochi anni attaccati alle gonne, passavano per le vie dei borghi della Riviera gridando “asherti donne, bughe, belle bughe” e via dicendo per invitare le massaie a scendere e comperare il pesce azzurro appena sbarcato dai gozzi dei mariti. Pesci freschi, freschissimi, spesso vivi.

Ricordo, da bambino, mia mamma che azzarda un coltello tra le branchie di un pesciotto piuttosto grosso, e quello, evidentemente ancora con un afflato di vita, si dimena e cade dal tagliere, con mia mamma, terrorizzata, che mi spinge fuori dalla cucina, chiude la porta, che resta chiusa sino all’arrivo di papà… Oggi le “pescelle” sarebbero bloccate da Nas, Asl, vigili. Un mondo che non c’è più.

Francesco Oddone, famiglia di pescatori, membro della Compagnia di San Pietro a Finalpia, di curiosità e aneddoti di pesca ne ha tanti. A cominciare dai garosci, contenitori di legno, simili a botti, usati a Finalpia sia dai pescatori, per le acciughe sottosale, sia dagli agricoltori per la vendemmia e la produzione del vino. Una lavorazione, quella delle acciughe, che a Finalpia è durata sino a metà degli Anni ’80. “Si andavano a pescare le acciughe da giugno a metà luglio, venivano imbarcati anche ragazzi, c’era la tradizione del terzo del pescato alla forza lavoro, c’erano meno vincoli, meno norme, tutti erano contenti. Ma, c’è da dire, era una pesca più ricca. C’erano serate che le barche sbarcavano a riva l’equipaggio che raggiungeva Finale in pullman, per poter manovrare meglio le barche piene, strapiene di acciughe”, racconta Francesco.

Una tradizione antica, per Finale Ligure. Uno dei suoi figli più importanti, il Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia, il generale che portò le armate italiane al trionfo di Vittorio Veneto durante la Prima Guerra Mondiale, veniva da una famiglia di pescatori. Suo padre aveva ben sette imbarcazioni da pesca, sette “lampare” (le luci, all’epoca a olio o a gas) che pescavano in un Mar Ligure all’epoca più ricco. Lui, il generale, il Maresciallo d’Italia, non scordò mai le sue origini. E ogni anno, a San Pietro, tornava a Finale Ligure per offrire, nella sua villa chiamata Vittorio Veneto, un pranzo ai pescatori del suo borgo natio. E ancora oggi, dall’alto del suo mausoleo, guarda con simpatia e un pizzico di rimpianto, chi va a pescare in quel mare azzurro che, come diceva Paolo Conte, si “muove sempre e non sta fermo mai”.

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