Come prevenire?

Savona, tragedia di via Nizza: i residenti avevano chiesto una rotonda, il Comune rifiutò perchè “troppo vicina” alle altre fotogallery

Nel rettilineo tre investimenti mortali negli ultimi anni e decine di incidenti

Savona, ciclista investito sulla via Aurelia

Savona. “Una pista ciclabile non separata dalle altre carreggiate, in un rettilineo così trafficato, non è una vera pista ciclabile. I veri colpevoli sono quelli che hanno fatto finta di fare una pista ciclabile semplicemente dipingendo una riga per terra“. E’ solo uno dei tanti commenti simili con cui i savonesi ieri hanno reagito alla tragedia di via Nizza, con la morte della 77enne Carla Siccardi investita da una Panda mentre in sella alla sua bicicletta viaggiava regolarmente nell’apposita corsia.

Una tragedia sicuramente frutto prima di tutto della disattenzione di un singolo (la donna alla guida dell’utilitaria, che ha spiegato di non aver visto la ciclista), ma in molti nelle ore successive hanno puntato il dito contro quella pista ciclabile. Una semplice striscia di vernice delimita quella porzione d’asfalto dalla carreggiata riservata ai veicoli: troppo poco, tuonano, per garantire la sicurezza di chi la percorre. Tanto più in un tratto perfettamente rettilineo che quindi, a volte, viene affrontato a una velocità superiore a quella consentita.

L’incidente di ieri, in realtà, non ha “precedenti” specifici legati alla pista ciclabile, ma via Nizza negli ultimi anni si è resa tristemente famosa per la quantità di incidenti stradali e, soprattutto, di investimenti pedonali. Spesso mortali: è successo nel 2015 ad Alfredo Fazzuoli, travolto nella notte tra il 14 e il 15 agosto da un furgone mentre attraversava sulle strisce all’altezza dell’intersezione con via privata Leonardo Da Vinci (l’investitore poi patteggiò 10 mesi); il 15 settembre 2016 alla 58enne Tiziana Costi, falciata da una minicar guidata da un 70enne (che poi ha patteggiato 18 mesi di reclusione); il 19 dicembre 2017, infine, l’80enne Michele Pepe fu centrato da un autobus mentre attraversava in un tratto distante dalle strisce pedonali.

Quattro vite stroncate ed altre tre rovinate, quelle degli investitori: colpevoli, certo, di disattenzione o superficialità (così come la vittima che invece attraversò fuori dalle strisce), ma in ogni caso costretti a fare i conti non solo con l’accusa di omicidio ma anche con la propria coscienza. E così ci si chiede se sia possibile fare qualcosa, se esista qualche contromisura da “mettere in campo” per evitare di elencare in futuro altre vittime e colpevoli. Le idee sono le solite: un cordolo che divida la pista ciclabile dalla carreggiata, dossi o attraversamenti rialzati che obblighino le auto a rallentare, autovelox che dissuadano i conducenti dal piede troppo pesante.

Una richiesta in questa direzione, in realtà, era già stata avanzata qualche anno fa da un gruppo di residenti, quelli del complesso La Rada. Per tramite di Giancarlo Bertolazzi (divenuto poi nel 2016 consigliere comunale nelle file della Lega) avevano presentato al Comune una proposta, con tanto di planimetria, per creare una rotonda o di fronte all’ex Siad o all’altezza dell’ingresso di via privata Leonardo Da Vinci.

Gli obiettivi erano due: uno “di comodo” (permettere ai residenti che provenivano da Vado Ligure di accedere allo stabile in modo più pratico senza dover raggiungere la rotatoria già esistente e ritornare indietro), ma l’altro era proprio quello di diminuire la velocità delle auto nel punto in cui nel 2015 ha perso la vita Fazzuoli. L’dea, però, fu bocciata dal Comune. “In una riunione sul posto – racconta Bertolazzi – il comandante della polizia municipale ci spiegò che quella rotonda sarebbe stata ‘troppo vicina’ a quelle già esistenti. Ci offrimmo anche di autotassarci e pagare noi la realizzazione, ma non servì”.

La proposta prevedeva anche degli attraversamenti pedonali rialzati, per contribuire a rallentare il traffico nella zona. Anche se poi, ovviamente, nessuna contromisura può funzionare del tutto di fronte alla disattenzione di un singolo. A meno di non mettere in atto la proposta di un savonese più “estremista” di altri: “In Francia sull’equivalente della nostra Aurelia vige il limite dei 30 km/h, con una sfilza di autovelox a farlo rispettare – scrive – Sicuramente scomodo, ma efficace“.

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