Richiesta

Processo Tirreno Power: più di 50 cittadini chiedono di costituirsi come parti civili per danni morali

Secondo i loro legali hanno vissuto nel timore di potersi ammalare

tribunale aula magna

Savona. Nuova udienza questa mattina del processo per disastro ambientale e sanitario colposo che vede a giudizio ventisei persone tra manager ed ex manager di Tirreno Power.

Davanti al giudice Francesco Giannone sono state formalizzate nuove costituzioni di parti civili: il Ministero della Salute, Accademia Kronos, il Codacons, Cittadinanza Attiva, Articolo 32, Adoc e anche una cinquantina di persone fisiche (tutti cittadini residenti nella cosiddetta “zona di ricaduta” delle emissioni – inquinanti secondo l’accusa – della centrale). Oltre a loro avevano già formalizzato la stessa richiesta sei associazioni ambientaliste (Greenpeace, Medicina Democratica, Legambiente, Uniti per la salute, Wwf e Anpana) e il Ministero dell’Ambiente.

Per quanto riguarda le persone fisiche (formalmente le costituzioni di parte civile sono 48 ma le alcune includono anche dei minori e di conseguenza il numero totale di cittadini coinvolti è più alto) la richiesta di risarcimento non è legata alle lesioni o al danno per la salute, ma all’ipotesi di “danno da metus”. Si tratta quindi di un danno morale dovuto alla paura di poter contrarre delle patologie a causa dell’esposizione alle emissioni della centrale.

Secondo la tesi dei legali di parte civile, gli avvocati Laura Mara e Rita Lasagna (che assistono i cittadini tutelati da Medicina Democratica che sta portando avanti una sorta di class action), quindi, le persone che loro rappresentano avrebbero subito un aumento del rischio di potersi ammalare ed avrebbero anche modificato il loro stile di vita a causa del timore e dello stress di poter contrarre le patologie presumibilmente causate dalle emissioni dell’impianto di Tirreno Power.

Inoltre, sempre questa mattina, Tirreno Power si è costituito come responsabile civile. Il tema dell’ammissibilità delle parti civili verrà affrontato nella prossima udienza che è stata fissata il 19 marzo.

A giudizio per la nota vicenda della centrale ci sono: Giovanni Gosio, direttore generale dal 2003 al 2014; Massimo Orlandi, presidente del Cda in diversi periodi nonché membro del Comitato di Gestione; Mario Molinari, Andrea Mezzogori, Jacques Hugé, Denis Lohest, Adolfo Spaziani, Jean-Francois Louis Yves Carriere, Pietro Musolesi, Domenico Carra, consiglieri d’amministrazione e, per i primi sei, membri del Comitato di Gestione, in periodi differenti; Mario Franco Leone, presidente del Da tra 2010 e 2014; Olivier Pierre Dominique Jacquier, Giovanni Chiura, Aldo Chiarini, Pascal Renaud, Agostino Scornajenchi, Giuseppe Gatti, Alberto Bigi, Charles Jean Hertoghe e Luca Camerano, tutti consiglieri d’amministrazione e membri del Comitato di Gestione negli ultimi anni; Pasquale D’Elia, capo centrale dal dicembre 2005 al 2014; Ugo Mattoni, direttore della Direzione Energy Management dal 2004 al 2014; Maurizio Prelati, direttore della Direzione Produzione dal 2008 al 2014; Guido Guelfi, direttore della Direzione Ingegneria dal 2004 al 2014; Andrea De Vito, direttore della Direzione Amministrazione Finanza dal 12007 al 2014; Claudio Ravetta, direttore Produzione dal 2004 al 2008 e vice direttore generale dal 2008.

In un primo momento il numero degli indagati per i reati di disastro ambientale e sanitario era più alto, ma, dopo aver raccolto il testimone dall’ex procuratore Francantonio Granero, oggi in pensione, i sostituti procuratori Daniela Pischetola e Vincenzo Carusi avevano chiesto l’archiviazione per quattordici dirigenti della Tirreno Power: Luigi Castellaro, Emilio Macci, Stefano La Malfa, Antonio Fioretti, Sergio Corso, Marco Ferrando, Roberta Neri, Marco Staderini, Sergio Agosta, Ferdinando Pozzani, Gianluigi Riboldi, Francesco Dini, Andrea Mangoni e Massimiliano Salvi.

IL SEQUESTRO
I gruppi a carbone furono sequestrati nel marzo 2014 dalla Procura di Savona. Secondo l’allora procuratore Francantonio Granero (oggi in pensione) i fumi emessi dai gruppi a carbone avrebbero causato un aumento dell’inquinamento nonché della mortalità dei residenti: a sostegno di questa tesi negli anni sono stati prodotti diversi studi legati sia alla diffusione dei licheni (per l’aspetto ambientale) che dei tumori (per quello sanitario). Sotto accusa anche la mancata installazione da parte dell’azienda di centraline a camino che permettessero di monitorare in modo più efficace la composizione di quei fumi e la rispondenza ai dettami di legge. Alla chiusura hanno fatto seguito mesi di polemiche furibonde tra ambientalisti e sostenitori dell’azienda, con gli operai finiti in cassa integrazione e l’indotto in crisi. Alla fine la centrale è stata riaperta, ma soltanto a metano, con una sostanziale diminuzione della forza lavoro.

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