La discussione

Processo Alamia, i legali della famiglia di Janira: “Omicida non si è pentito”

Gli avvocati Mariani e Biale hanno sostenuto con determinazione le tesi del pm Milocco: "Non ha mai pensato neanche per un secondo di costituirsi"

Savona. Nella lunga discussione del processo per l’omicidio di Janira D’amato, la ragazza uccisa con 49 coltellate dall’ex fidanzato Alessio Alamia il 7 aprile 2017, nel sostenere le tesi della Procura, hanno giocato un ruolo fondamentale anche i legali di parte civile, gli avvocati Simone Mariani e Fabrizio Biale, che assistono la famiglia della vittima (i genitori Rossano e Tiziana ed i fratelli Kevin e Didier).

Entrambi, durante i loro interventi, hanno esposto una serie di elementi a sostegno dell’impianto accusatorio del pm attraverso i quali hanno sostenuto la sussistenza dei presupposti per condannare Alamia all’ergastolo per omicidio volontario pluriaggravato dalla premeditazione e per stalking.

“Assisto la famiglia D’Amato. Una famiglia per bene, unita. Una famiglia che ha partecipato a tutte le udienze, alcune anche molto dolorose, con rispetto, contegno, verso tutti, compreso l’imputato. Condivido la puntuale e minuziosa ricostruzione dei fatti del pubblico ministero. Mi preme sottolineare come sono state rispettate tutte le regole a garanzia delle parti, in particolare il diritto alla difesa dell’imputato. Condivido la tesi del pm sui fatti: persecuzione, premeditazione, omicidio e, aggiungerei, la resa” ha esordito l’avvocato Mariani.

“E’ emerso che la relazione tra i due era intrisa di prevaricazioni ed aggressioni, verbali e fisiche. Dal momento in cui la ragazza è stata ammessa al corso è sfociata nella persecuzione. Guardando alla storia tra i due ragazzi emerge una certa insistenza di Alamia di partecipare alla vita di Janira, si impicciava sempre, su ogni aspetto. La povera Janira è incappata in un soggetto la cui massima aspirazione era quella di vivere in maniera parassitaria sugli altri. Basava la sua relazione sullo sfruttamento emotivo ed economico della sua fidanzata. Ha colto quei punti di sensibilità che gli hanno consentito di manipolare i sentimenti della futura vittima. Ha attuato un vero e proprio ricatto sentimentale” ha proseguito il legale dei genitori e di uno dei fratelli.

“All’interruzione del rapporto sentimentale, che avviene il 31 marzo, vengono minate le fondamenta dei progetti futuri di Alamia e questo ha determinato in lui il proposito omicidiario. Ma non dobbiamo ridurre il tutto ad un’esplosione di gelosia: è una vendetta. La radice del male dobbiamo cercarla facendo qualche passo indietro: guardando a cosa Alamia si rendeva conto di aver perso. Ho dubbi che l’imputato abbia la capacità di provare dei sentimenti genuini verso chicchessia. La brutalità dell’omicidio ci raccontano il movente e come questa idea si sia fatta strada nella testa di Alamia. Il comportamento successivo al delitto evidenzia l’assenza di pentimento e neppure di un flebile rimorso per quello che aveva fatto. Alamia è uscito di casa alle 19,50 e, spiega lui, per andare dalla nonna per costituirsi. La caserma dei carabinieri di Pietra dista 600 metri da casa dell’omicida, mentre casa della nonna è a 4 chilometri da piazzetta Morelli, scena del crimine. Mentre va dalla nonna si ferma persino a bere un Estathè con la mamma. Alamia dopo il delitto si è cambiato, ha cercato perfino di lavare il pavimento ed ha risposto con tono rassicurante alle telefonate della mamma di Janira e di un’amica. Ha chiamato la nonna con lunga telefonata, poi va al bar, poi resta ancora un’ora a casa della nonna a fare cosa non si sa. Alessio Alamia non ha mai pensato neanche per un secondo di costituirsi. Qualcosa gli ha rotto le uova nel paniere: il messaggio di Rossano D’Amato alle 20,50 in cui gli dice che stava per andare a buttare giù la porta di casa. Alle 21,14 citofona alla caserma dei carabinieri di Loano. Alessio Alamia si è arreso” ha concluso l’avvocato Mariani.

L’avvocato Biale, con estrema precisione, ha invece ricostruito una serie di episodi per sottolineare come “sussistono da parte del ragazzo del condotte persecutorie”. Facendo riferimento alla brutalità del delitto, a sostegno della tesi della premeditazione, il legale ha osservato: “Ripetere 49 volte il gesto della coltellata richiede un lasso di tempo veramente lungo. Non può essere frutto di un raptus, ma è l’esplosione di una rabbia covata da tempo”.

Quanto alla condotta processuale l’avvocato Biale ha concluso dicendo: “Alamia ha mentito spudoratamente, ha cambiato versioni ed ha contestato il momento in cui è stato interrogato. A nulla valgono le sue scuse perché sono finte: Alamia è incoerente sotto ogni aspetto. Bisogna tenere conto della non meritevolezza delle attenuanti generiche”.

Clicca qui per guardare il video INTEGRALE della deposizione di Alessio Alamia in aula

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