Savona. È arrivato il via libera del giudice: Pier Paolo Pizzimbone resta indagato nell’ambito dell’in chiesta rifiuti che ha generato un autentico terremoto ad Alassio, ma farà ritorno a casa, agli arresti domiciliari.
Dopo che era stata respinta una prima istanza, presentata ai primi del mese di gennaio 2019, questa volta il gip del tribunale di Savona Alessia Ceccardi ha accolto la richiesta dei legali dell’ex commissario provinciale di Fratelli d’Italia (finito in manette con l’accusa di estorsione aggravata, tentata e consumata), che ha già lasciato il carcere di Genova, dove era detenuto, per fare ritorno ad Andora.
A sbloccare la situazione di stallo che si era creata dopo il primo respingimento in tribunale è stato un risarcimento. Tramite i suoi legali, infatti, Pizzimbone ha risarcito i 16mila euro (la famosa tranche di denaro finita nel mirino degli inquirenti) al socio dell’Alassio Ambiente. Una mossa che ha di fatto spianato la strada all’attenuazione della misura”.
Durante l’interrogatorio fiume dello scorso 27 dicembre, Pizzimbone aveva ammesso di aver preso dei soldi da uno dei soci della società consortile Alassio Ambiente (un’associazione temporanea di imprese siciliane tra EcoSeib, Icos e Ecoin) che gestisce il servizio di igiene urbana per il Comune della città del Muretto, ma aveva negato con decisione di aver fatto minacce estorsive.
L’ex commissario di Fdi aveva quindi fatto qualche ammissione respingendo però l’accusa di aver incassato il denaro minacciando uno dei soci di Alassio Ambiente. Al contrario, aveva spiegato che tra lui e il management della società consortile esisteva un accordo che prevedeva il pagamento di somme di denaro (96 mila euro all’anno per quattro anni) in cambio di una sorta di servizio di consulenza ed aiuto per continuare a gestire il servizio di raccolta rifiuti ad Alassio ed ammorbidire l’amministrazione comunale.
Proprio durante l’indagine, gli inquirenti avevano anche monitorato il versamento da parte della società consortile di una tranche di denaro da 16 mila euro nelle mani di Mario La Porta, un ex manager coinvolto nell’inchiesta e considerato dalla Procura suo stretto collaboratore. Denaro che al momento della perquisizione della polizia erano nella casa dei Pizzimbone (come ha ammesso lui stesso davanti ai pm), ma che non erano stati trovati.
L’ex commissario di Fdi è accusato di aver fatto pressioni su un rappresentante della società consortile facendogli capire di poter “ammorbidire” la posizione della giunta Melgrati (che nell’ultimo periodo aveva elevato diverse sanzioni, minacciando anche di rescindere il contratto con l’Ati) a fronte del pagamento di una somma di denaro. Soldi, 96 mila euro all’anno, che Pizzimbone avrebbe incassato attraverso un accordo di consulenza a nome di La Porta. Proprio quest’ultimo, nel suo interrogatorio, aveva ammesso che quello a suo nome era un contratto fittizio, siglato soltanto per incassare in maniera apparentemente lecita i soldi destinati a Pizzimbone.
La Porta aveva però negato con decisione di essere al corrente che quei soldi fossero provento di un’estorsione: insomma l’ex manager avrebbe fatto intendere chiaramente al gip di essere consapevole che la provenienza del denaro non fosse “pulita”, negando però di sapere che i soci di Alassio Ambiente fossero stati minacciati per pagare.
Nell’inchiesta su ambiente e rifiuti è indagato, per il reato di tentato abuso d’ufficio in concorso con Pizzimbone, anche Rocco Invernizzi, l’ex assessore comunale all’ambiente di Alassio (si è dimesso quando è venuto a conoscenza dell’indagine) e sul registro degli indagati, è finito anche il nome del consigliere comunale di maggioranza Paola Cassarino, accusata di tentato abuso d’ufficio in concorso con lo stesso Invernizzi.