Savona. Nell’ottobre del 2017 i fratelli Pietro, Donato e Francesco Fotia, e con loro il nipote Giuseppe Criaco, erano stati condannati al termine di un rito abbreviato celebrato in tribunale a Savona, davanti al giudice Francesco Meloni, per l’accusa di intestazione fittizia di beni per riuscire ad eludere le misure di prevenzione.
Una sentenza che questa mattina è stata completamente ribaltata in corte d’appello a Genova dove tutti e quattro gli imputati sono stati assolti “perché il fatto non sussiste”.
Il verdetto pronunciato oggi in secondo grado prevede anche la restituzione di tutti i beni che erano in sequestro per un valore di dieci milioni di euro).
A Savona Pietro Fotia era stato condannato a ventidue mesi di reclusione, mentre gli altri tre imputati a venti mesi di reclusione con la concessione della sospensione condizionale della pena. Un quinto imputato, Remo Casanova, allora direttore tecnico di un’azienda dei Fotia, aveva scelto invece di essere giudicato attraverso un rito ordinario ed è stato quindi rinviato a giudizio (per lui la prossima udienza del processo è fissata a maggio davanti al collegio del tribunale).
Secondo la tesi contestata inizialmente dalla Procura di Savona, i fratelli Fotia, titolari della Scavoter, avrebbero costituito nel corso di pochi anni le società P.d.f. e Se.le.ni. s.r.l., quest’ultima poi interamente ceduta a Criaco e Casanova (che detenevano rispettivamente il 95 ed il 5% delle quote societarie e sarebbero stati quindi dei prestanome) per eludere le misure di prevenzione e per sviare la Prefettura di Savona che aveva interdetto l’aggiudicazione di nuovi appalti pubblici proprio alla Scavoter.